Originario del Benin (Cotonou, 1961) e dal 1995 residente ad Amsterdam, dove attualmente vive e lavora, la figura di Meschac Gaba si è imposta all’attenzione della critica e del pubblico per una sola, unica e grande opera: The Museum of Contemporary African Art.
Un museo processuale ed evolutivo che nell’arco di sei anni avrebbe visto il suo autore mutare continuamente ruolo e funzione, proponendo la figura dell’artista, di volta in volta, come imprenditore, collezionista, maestro di cerimonie, cuoco,
Sin dall’inizio Meschac Gaba ha fissato a dodici (gli apostoli o i mesi dell’anno) il numero delle sezioni che avrebbero dovuto costituire il suo fantomatico museo di arte africana contemporanea, anche se le funzioni, i dipartimenti e la sezioni sarebbero state progettate di volta in volta e non predeterminate. In ciascun’area saremmo stati guidati
Con Documenta_11 è stata definita ed è stato portato a termine l’intero progetto museale: Humanist Space, un’area in cui si potevano noleggiare biciclette per attraversare Kassel o per vagabondare sui grandi prati verdi dell’Aue.
Dopo tanto vagabondare, Meschac Gaba arriva in Italia dove ha deciso di installare una versione completamente rinnovata di Museum Shop (Milano) e del Salon (Genova). Gaba è sicuramente da considerarsi uno degli artisti capaci di dire e soprattutto fare qualcosa di diverso. Una denuncia che vive nella propria soluzione.
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roberto sommariva
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