È
la luce la vera protagonista di
Big Bang di
Davide Tranchina (Bologna, 1972; vive a Milano e
Bologna), personale composta da un ciclo di opere inedite in cui l’artista
intraprende una strada sperimentale dell’uso della fotografia. “
Sono close
up in bianco e nero di grande formato”,
spiega la curatrice Marinella Paderni,
“ottenuti scansionando le
impronte di luce lasciate su carta fotosensibile da oggetti di uso quotidiano
posti a ‘contatto’.
Un eterno ritorno all’atto primo della fotografia, la magia della luce che
fissa l’impronta di un oggetto senza la mediazione dell’apparecchio fotografico”.
Lo
strumento è proprio la luce. Così, sfruttandolo sapientemente, Tranchina si fa
demiurgo d’immagini, portando decisamente in avanti il suo cammino artistico e
tracciando inoltre un’interessante parabola intorno alla storia del medium.
Dalla camera oscura alle più sofisticate tecniche contemporanee, per un
universo mutante e mutevole, che sempre alla luce deve la sua anima.
Ci
sono antichi velieri (
In altro mare), esplosioni inquietanti (
Fungo atomico), galassie immense da scoprire (la
serie
Big Bang).
Un corpo sintetico ma affascinante di opere che modellano il percorso
fotografico allestito alla Galleria Nicoletta Rusconi.
In
questa “
grande esplosione” di luce in bianco e nero è da segnalare l’installazione
che conduce lo spettatore in un momento di piacevole interazione. Si accede in
una “
buia caverna”
attratti da un chiarore che squarcia le tenebre, come naufraghi di un vascello
fantasma. Così, in un notturno stellato riflesso nel fondo di un lago, non sarà
difficile ritrovarsi e specchiarsi, scrutandone l’insondabile profondità.
L’intento
di Tranchina è forte, perché punta a liberare la visione oltre la “caverna”
delle apparenze. L’obiettivo è sollecitare lo sguardo oltre il visibile, perché
ogni cosa ha il suo doppio. Tutto ciò che appare porta con sé una parte illuminata
e un lato in ombra. “
È un eterno vedere nella fotografia”, sottolinea Paderni, “
la ‘scomparsa’
di un oggetto. E guardarlo riapparire sotto forma di immagine latente,
indiziale, generando un processo di apparizione e rivelazione di quelle realtà
essenziali che sfuggono normalmente allo sguardo umano”.
Ogni
immagine fissata sul supporto nega una riproduzione mimetica del reale.
Attraverso la fotografia, Tranchina si fa creatore di un’altra realtà. Ogni
opera diventa impronta di una presenza che ora non è più tale e forse mai lo è
stata. Ogni immagine è l’ombra di qualcosa di cui non possiamo avere certezza.
Come la traccia di un sogno. Una memoria fatta di chiaroscuri impalpabili.
“
Una
foto è sempre invisibile: ciò che vediamo non è lei”, scriveva Roland Barthes.