Esistono procedimenti di figurazione che interpretano precisi spazi estetici, delineando e componendo azioni, risultanti di forze che tracciano geometrie e rendono strumenti visivi le azioni dei tondi, degli ovali e dei quadrati, stabilendo così un percorso sviluppato
in crescendo. Una visione in salita fatta di alternanze e simmetrie. Una sorta di gioco che entra nello statuto di un’arte particolare, che fa delle separazioni geometriche un rimando puntato verso altre arti. Arti di giustapposizione che, come in musica, non lasciano la libertà della rappresentazione rivelando quel che è visibile come un registro tecnicamente scisso da ciò che non lo è.
Spetta allora alla pittura il compito di tornare presente, senza però tornare a significare come un segnale di se stessa. Un esercizio compilativo che eluda l’essere mezzo senza portare alcun messaggio, un supporto sempre pronto a disperdersi perché concentrato sulla propria veicolazione. La pittura di
Mario Consiglio (Maglie, 1968) rimane un ambito chiuso. Un vertice apodittico e inconfutabile che, per natura concettual-stilistica, si è posto come obiettivo, come
Target, quello di ritrovare un luogo proprio. Un centro perpendicolare che scansi le prefazioni di formale e informale, per rivelare infine il carattere intransitivo del procedimento geometrizzante e dunque compositivo dell’opera in sé.
Quella di Consiglio è una concezione visiva dell’oggetto-pittura che ha come risultato il bilanciamento di assonanze logiche, tanto cromatiche quanto geometriche. Nei dipinti alle pareti gli assi, le rette, le angolature e gli spessori precipitano su un lato periferico dello statuto sensibile del vedere. I colori, lasciati a lucido e replicati secondo varianti che ripropongono toni fluorescenti e iridescenze sintetiche, sono indicatori di forza, vettori che in realtà propongono un déjà -vu delle impressioni optical. Le opere di Consiglio mischiano i livelli dell’artificiale e del cinestesico, riproducendo gli omonimi
Target di
Jasper Johns dipinti durante gli anni ’50.
I centri dell’artista salentino vengono rieditati su superfici tagliate al laser, con codici espressivi che rasentano il bilico della contemporaneità . I materiali utilizzati, seppure evidentemente frutto di una ricerca accurata e di lieve natura sperimentale, restano comunque una serie conclusa di cerchi ed ellissi.
Il risultato è una sequenza di pitture che ricercano, senza contraddirsi, la polverulenta statica dell’equilibrio, limite che investe baricentri prevedibili di forme e superfici, apparentemente immutabili. Viene per questo difficile, anche per l’osservatore esperto, fare un commento che contenga la parola
diversificazione. Così come le prime opere riportavano diagrammi di anelli concentrici, anche in questa personale i cerchi si conformano, deflagrano e irrompono, diventando segmenti dallo stampo unico, come se la forma in sé fosse diventata una base sicura per la luce, che solo in alcuni lavori piega il tono cromatico delle iridescenze, rendendolo unico allo sguardo.