Con
Inter pares, prima personale italiana di
Kris Martin (Kortrijk, 1972; vive a Gent), alla Gamec si è dato il via al tredicesimo progetto di Eldorado, spazio che, all’interno del museo bergamasco, è dedicato alla promozione di artisti emergenti.
Martin rende omaggio alla stasi gnoseologica dell’idiozia dostoevskiana, riproponendo (non più
primus, solo
inter pares) due sculture dal titolo
Idiot III e
Idiot V (2006 e 2007). Questi due idoli assuefatti, simboli della religione cristiana, sono artefatti in attesa, sospesi tra due binari: la luce cupa del buio che racchiudono e le pareti riverberanti della stanza. Passando nel secondo ambiente, Martin offre un esempio di quanto il ritratto minimale del genere umano possa diventare puro significante; proprio come recita il titolo,
Eye, eye, nose, mouth (2008), sotto ogni volto ritratto e pittogrammato, composto in fondo da semplice inchiostro su carta.
Appesi ai muri, anche loro in attesa che si mettano a guardare, questi occhi e queste bocche, questi punti e queste linee diventano icone di un genere muto che non aspira a raggiungere l’astrazione né la formalità della completezza espressiva in ricordo di un’appartenenza all’umanità. L’ultima sala è invece un ricovero acustico per l’installazione sonora
What’s the time, nella quale voci femminili e voci maschili si alternano in un continuo, compulsivo dialogo su tempi e contra-tempi, silenzi e urgenze.
Data Recovery è invece la collettiva nata dal premio biennale Bonaldi per l’Arte Contemporanea, che ha sostenuto questo progetto allestitivo presentato da un giovane curatore under 30. Vinto quest’anno dal turco Övül Durmusoglu, il progetto si articola su un racconto di Borges (
Tlön, Uqbar, Orbis Tertius) nel quale la realtà comincia a sostituire la propria definizione rappresentativa e, con lo scorrere del tempo, si sostituisce completamente al sapere che su di essa l’uomo ha sedimentato in millenni di conoscenza. Attraverso questo stesso meccanismo,
Data Recovery prende il suo titolo dal processo di recupero dei dati rielaborati da mezzi di archiviazione oramai in disuso o inaccessibili.
Gli artisti chiamati da Durmusoglu trattano il tema dell’informazione e della sua trasmissibilità come una possibilità di rivisitare e di agire il reale; rivelato oltre i termini riduttivi di qualsiasi forma di sistema scientifico.
Da vedere e da ricordare la videoinstallazione
Väter Täter di
Klub Zwei e il lavoro a parete,
Information, nel quale
Julie Ault e
Martin Beck trasformano i dati socio-economici sulle politiche di sviluppo sociale del governo statunitense in un progetto cromatico, un’opposizione sui generis a un sistema di calcolo dedicato allo sfruttamento.
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Complimenti a questa Ginevra che scrive in modo unico e primaverile. Il 15 era anche il mio compleanno.
L'amico del farmacista