Philippe Perrin (La Tronche, 1964; vive a Parigi) lavora sin dagli anni ‘90 con la rappresentazione sovradimensionata dei simboli del potere. Dai suoi progetti nascono icone ambivalenti, frutto rapido di vita e morte violenta; immagini tridimensionali di oggetti da set che, ingigantiti in piena scia pop, diventano giochi scultorei crudi, operanti sulla trasposizione della forma esatta.
Il carosello metallico e difforme prodotto dall’artista è una giostra mentale che crea enormi lamette per tagliare montagne di cocaina, armi di ogni genere e fotografie tratte da apparenti gangster-action movie. Questa rutilante evasione da qualsiasi appiglio a urbani far-west ha ormai fatto il giro del mondo. Il curriculum di Perrin annovera personali da Perrotin a Parigi nel 1989, al Beaubourg nel 1991 insieme a
Jean Nouvel e, ancora, alla Maison Européenne de la Photographie, per arrivare alla recente
Shooting Star alla Xin Dong Cheng Gallery di Bejing. Anche all’interno di mostre collettive il ruolo di transizione, affidato ai suoi lavori, denuncia la veridicità lucida delle armi del potere, in bilico tra laicismo e dissacrazione gratuita.
La sua poetica di denuncia irreprensibile, estesa nella tridimensionalità del reale artistico, è una voce a tratti smorzata e a tratti squillata dai toni volutamente glam e fashion; stile che ha permesso a Perrin, nel giro di vent’anni, una sempre maggiore veicolazione dei propri lavori, esposti da Vienna, a Tel Aviv e a Mosca. Come un codice che perde le proprie regole e quindi rinuncia a ogni norma limitante, l’oggetto ricreato diventa passepartout per il dominio e si instaura in galleria sotto forma di scultura, riverberando superfici satinate e inserti neri.
Per la personale milanese,
Heaven Express, l’artista decide di riproporre le volute ironiche e in sovra-dosaggio della violenza sotto effetto speciale, esponendo tre macro-sculture e otto disegni, che nell’insieme traslitterano l’ambiguità (rapida) del titolo sotto il quale sono stati raccolti. Entrando è possibile osservare
Beretta, una fedelissima modellazione di una pistola di piccolo calibro che, esasperata nelle proprie dimensioni, perde la funzione di tramite di morte per far emergere il proprio status di simbolo. Simbolo di assunzione che chiede in prestito al reale solo una vaga somiglianza connotante, per poi adombrarne ogni significato.
Due curiosità in mostra rendono necessaria una visita in galleria. La prima è
The Highway: un rosario di venti metri di lunghezza, imperlato di sfere scure e d’acciaio, studiato apposta per gli spazi.
The Highway diventa un gioco ideologico, un veloce tramite che spedisce l’universo dell’iride di chi guarda direttamente tra creato e creatore.
Ancora, da vedere, restano i disegni. Fra stelle rosse, guerrieri in posa, bossoli e manette, è ricostruita una mappa cartoonistica dalla quale la matita di Perrin fa scaturire le proprie enormità patinate, frutto dell’oggettivazione senza più paure.