La Deposizione di Sant’Andrea dalla croce (1662 ca.) è stata attribuita a Luca Giordano (Napoli 1634-1704) da Valentina Maderna. Il pittore napoletano, com’è noto, è stato ampiamente influenzato da Ribera e al periodo ‘neo-riberesco’ appartiene la tela, realizzata nella città partenopea negli anni in cui il rapporto con Venezia iniziava ad assumere contorni definiti. Di qualità eccezionale i chiaroscuri e la vividezza degli sguardi delle figure. La grande opera ha toni cupi e coglie l’attimo di sforzo nel deporre il corpo dell’apostolo, il cui braccio sinistro è ancora legato alla croce. Il miglior punto d’osservazione è la mezzanina, da cui ammirare il lavoro posto al piano inferiore, rasentante il pavimento. Tedeschi sottolinea come le opere di Giordano e Carroll siano pensate per essere collocate in modo tale che lo sguardo dello spettatore si debba abbassare, secondo un modello caravaggesco.
Alla destra di chi guarda da quel punto, l’installazione Boxes – Reflections (2004) di Lawrence Carroll (Melbourne 1954. Vive tra New York e Los Angeles). Si tratta di teche allineate sul pavimento lungo il corridoio, il cui ‘coperchio’ è sporco d’intonaco e all’interno delle quali vi sono teloni luridi di grasso e fuliggine. Anche in questo caso si guarda in basso e si rammenta il luogo d’origine degli oggetti che costituiscono le ‘sculture’. Carroll s’immerge nell’inferno newyorkese dei ghetti e recupera oggetti abbandonati, li manipola, li sottopone a una metamorfosi incerata. Non fa dell’arte real-sociale, non dipinge icone della disperazione. Con un meccanismo di congelamento mnemonico, estirpa le cose dalla putrefazione per donargli una vita innaturale. I suoi lavori sono parallelepipedi appesi al muro, poggiati a terra, allestiti variamente sulle pareti in modi inconsueti. Dal punto di vista cromatico, domina un bianco panna ‘sporco’, un giallino smunto. Non ci si stupisce che le sue opere siano vissute il tempo di una mostra accanto a un Morandi. Buoy (1987-88) ha rattoppi scuri pinzati su un corpo in cera e legno, e il ricordo va a materassi laidi, scomodi e precari; Fugitive (for Mark) (1991-93) è un bancale ricoperto di tela spillata che potrebbe fungere da intercapedine fra il freddo battuto di un rudere e il giaciglio di Buoy; fra i lavori di medie e piccole dimensioni, Painting (1993-95) ha una struttura prospiciente e sospesa che pare mimare una cassaforte del nulla.
Da un punto di vista cristiano, si sono sprecate le interpretazioni focalizzate sul concetto di resurrezione. Ma è pur vero che l’installazione comunica un diffuso sentimento di disagio e usura. Il richiamo fra Giordano e Carroll è inizialmente cromatico: le povere cose del secondo richiamano il lividore della pelle di Andrea. Due martirî: degli oggetti, del corpo. Quest’ultimo è esposto, palesato drammaticamente; il secondo è rammentato metonimicamente, traslato su solidi morti e immobili. Il meccanismo della memoria è stimolato per dar vita alla pietà. Non al pietismo, del quale paiono essersi stancati entrambi gli artisti, anche se distanti di quattro secoli.
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