I “problemi” concettuali messi in questione dalla scultura di
Ian Pedigo (Anchorage, 1973; vive a New York) sono incentrati sulla formazione e non sulla tras-formazione della materia. I suoi assemblage, sette in tutto, esposti in galleria sono mondi fatti a pezzi e ricongiunti grazie alla geometria dei luoghi. Grazie cioè a quei collanti visivi attraverso i quali ogni diverso segmento oggettivo, per tornare a corrispondere al mondo dal quale arriva, viene re-invertebrato con altri elementi, formando un istante che trattiene un esistere significante.
Ogni scultura diventa uno spazio a sé, dove far sorgere il momento retroattivo di una rappresentazione quasi “grafica” del quotidiano, utilizzato come materia vivente e, per questo motivo, di tipo narrativa. Formazione e trasformazione, dunque, per quest’artista al debutto in Italia, diventano due poli che aspirano e, in fondo, sottendono a un bilanciamento più ampio. Un equilibrio come somma fra dis-equilibri, fra picchi di ritagli, fra vetri, cartoni, lastre di mdf e colla resistente, tutti assemblati per creare ombre. Sottili ombre tra il simulacro originale e l’idioma dell’immagine finale.
Nelle opere di
OnBalanceVolume non esiste il pericolo della de-formazione; la tras-formazione della forma dilaga (come in
Glacier-rich Avenues) e può facilmente mirare a una tridimensionalità astratta oppure dinamica, ma mai meccanica o volitiva. La composizione di questi assemblaggi (si veda
About to Clear) inserisce sempre nel corpo centrale di queste specie d’armature una forza statica, passiva, che produce l’immobilità silenziosa riscontrabile nelle diverse sezioni.
All’interno del processo costruttivo dei pezzi, la creazione di energia stagnante, data dalla velocità dei profili dei cartoni, dalla fibrosità dei legni e dall’impossibile omogeneità delle lastre di vetro, produce un momento in cui la rappresentazione si subordina al movimento, alla forza, come pure al progetto astratto della Figura in sé.
Quando una forza si esercita su una parte “ripulita”, spuria da ogni incastro difficoltoso o da qualsiasi rimando obbligato alla traccia di una mappa (come nel dispettoso
Persuader to enclosed space (civic message)), non dà origine a una forma astratta. Sottraendosi e rimescolandosi, dinamicamente, attraverso i segmenti che dominano le forme sensibili, poiché traggono origine diretta dal vissuto quotidiano e reinventato dell’artista.
Spesso, all’interno della serie di lavori presentati in galleria (
In a Few Seconds from Far Away) la forma senza forza delle immagini reali, sovrapposte ma ben posizionate, è un sintomo che il metodo di assemblaggio incide sul vero. Facendo di questa zona di realtà una zona d’indiscernibilità, comune a più forme, anche se irriducibile ad alcuna di esse, manifestandosi proprio nel punto in cui le linee di forza sulle quali la giacenza della forma insiste sfugge a qualsiasi ragione e a qualsiasi nitore di fondo. Diventerebbero, altrimenti, fattori deformanti.