Categorie: Mostre

Aldo Tagliaferro. Opere nello spazio, a Parma, tra realtà e memoria

di - 11 Aprile 2025

Aldo Tagliaferro uomo e artista allo stesso tempo, servendosi della fotografia, della quale ha sempre riconosciuto la straordinaria vicinanza al reale, ha costruito nel lungo corso della sua carriera un processo di rilevamento-rivelamento finalizzato alla creazione di una riflessione gnoseologica dedicata dell’essere umano. All’APE Parma Museo, l’innovativo centro culturale e museale ideato e realizzato da Fondazione Monteparma, la mostra ALDO TAGLIAFERRO. OPERE NELLO SPAZIO – Rappresentazione tra realtà e memoria, a cura di Cristina Casero, analizza l’importante lavoro dell’artista, lasciando emergere la vera dialettica che connota tutto l’esistente: positivo-negativo, soggettivo-oggettivo, materiale-immateriale, cielo-terra, presente-passato e vita-morte, ovvero tutte le antinomie che entrano nelle opere esposte come essenze protagoniste e che lavorano a un unico fine in comunione con l’Io.

«L’immagine fotografica è, oltre che testimonianza, realtà stessa del nostro tempo», affermava Tagliaferro cogliendo le infinite possibilità del medium fotografico quale strumento critico di analisi capace di influire sull’interpretazione del reale. Un esempio ci viene offerto da opere come Analisi di un ruolo e Verifica di una mostra. Questa foto-installazione, che fin dal titolo richiama le verifiche di Ugo Mulas, è un’opera che Tagliaferro ha sviluppato in orientamento sequenziale (la sequenza dei fotogrammi risulta molto simile ai montaggi cinematografici di Sergej Ejzenstejn) che esalta la temporalità dilatando il problema della durata attraverso una scrittura fotografica che mantiene un andamento filmico.

Aldo Tagliaferro, Analisi di un ruolo, 1970. Courtesy collezione Luigi Franco, Torino

Certo, questo lavoro pone sotto la lente dell’analisi il comportamento del pubblico durante una sua mostra, ma è senza dubbio sintomatico di come la ripetizione sia un elemento distintivo della pratica dell’artista, una ripetizione differenziata che dimostra la variabilità del reale provocata dal tempo. Ma come si differenzia una ripetizione? Tagliaferro lavorava anche sulla frammentazione dell’immagine, sulla sua serializzazione o duplicazione, rientrando appieno con la sua ricerca nel panorama delle avanguardie degli anni ’60 e ‘70. In questo senso, è emblematico il ciclo Io-ritratto, altra opera iconica presente nel percorso espositivo. Intenzionato ad analizzare il proprio Io. L’artista mette in discussione la propria immagine, usando come valori il positivo e il negativo: ripetendo in maniera calibrata la sua immagine frontale. Il suo negativo e l’immagine della sua nuca, Tagliaferro riesce così a evidenziare la mutabilità del rapporto che egli ha con il suo Io, rendendo di fatto manifesto il carattere ossessivo di guardarsi allo specchio.

Aldo Tagliaferro, L’Io ritratto n. 10, 1977. Courtesy Galleria Elleni, Bergamo

L’anno stesso dell’Io-ritratto Tagliaferro si trasferisce in Africa, nella zona dell’attuale Congo, e riprende, estremizzandolo, il discorso sulla scrittura che trova un punto d’arrivo in Analisi della pettinatura africana – Dal segno alla scrittura. Affascinato dal significato attribuito alla pettinatura – non è solo un’esigenza estetica ma vale come codice di appartenenza tribale e di identificazione – Tagliaferro prima isola le immagini registrate dal contesto storico-sociale e annulla i visi (per lasciare solo la traccia segnica), poi le dilata e infine, di nuovo attraverso ripetizione e accostamento, le propone all’interno di sequenze ritmiche in una forma di scrittura in cui l’Io, implicitamente diventa unità di misura. Di ritorno dall’Africa Aldo Tagliaferro si trasferisce prima a Milano e poi a Bazzano, dove compra il rudere che fa da palcoscenico all’opera Sopra/Sotto un metro di terra. Quest’opera, ultima in ordine temporale, summa se si guarda a tutta la carriera di Tagliaferro, raccoglie in sé tutti gli aspetti che l’artista ha analizzato e registrato fin dai suoi esordi.

Aldo Tagliaferro, Sopra/Sotto un metro di terra, 2000

«Un’analisi tra il proprio io e l’esterno in una relazione temporale» aveva definito, nei suoi appunti personali, Tagliaferro quest’opera, non una semplice rappresentazione ma la dimensione dell’intera esistenza nella quale è possibile leggere il rapporto che l’Io instaura con ciò che lo circonda e la posizione che l’Io assume nel tempo rispetto a ciò che è esterno a sé. L’analisi si sviluppa attraverso tre elementi che si relazionano agli altri grazie alla contrapposizione: la terra, elemento oggettivo del vivere; il cielo, elemento soggettivo; il paesaggio, condizione del vivere.Il Paesaggio totale costituisce il momento iniziale dell’analisi: si tratta di una fotografia composta da 12 frammenti di paesaggio, disposti a raggiera, che mostra delle coincidenze con il diaframma dell’obiettivo fotografico. Il rapporto intimistico che si crea tra l’Io e il paesaggio si esprime in due sequenze fotografiche, ognuna costituita da 10 immagini di 1×1 metro – il quadrato, infatti, è avvertito da Tagliaferro come unica forma geometrica capace di mantenere intatta la consequenzialità del racconto.

Opere di artisti come Arturo Vermi, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi – con cui Tagliaferro a partire dal 1963 condivide l’esperienza del “Quartiere delle botteghe” a Sesto San Giovanni (Mi), così nominato dal suo ideatore, il costruttore edile e collezionista Felice Valadè – e di Bruno Di Bello, Elio Mariani, Gianni Bertini e Mimmo Rotella, insieme ai quali Tagliaferro, nel 1968, aderisce al manifesto della Mec-Art teorizzato da Pierre Restany, arricchiscono il percorso espositivo, contribuendo all’approfondimento di una figura come quella di Aldo Tagliaferro, che si è messo tra gli altri lasciando che il tempo e lo spazio lavorassero suoi e di ogni essere umano che è e sarà sempre l’unità di riferimento per la conoscenza.

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