«Chaos is order yet undeciphered», il caos è un ordine non ancora decifrato. E infatti basta immettere la query nella stringa di ricerca e, in pochi istanti, tutti gli elementi vanno al proprio posto. La frase sibillina che compare a introduzione di uno strano film di qualche anno fa di Denis Villeneuve è una citazione non letterale da un romanzo del Premio Nobel José Saramago, a sua volta ripresa da una conferenza tenuta da Henri-Louis Bergson. L’informazione segue un percorso circolare, il sistema è stabile e affidabile, la sua struttura reperisce i dati, li classifica e li rappresenta in un paesaggio interpretabile senza margine di errore. La latenza, il ritardo, l’afasia, l’imprecisione, la disarmonia, lo scivolamento, devono tendere allo zero assoluto, ogni difetto è una falla da correggere, un glitch da aggiornare. Nulla di troppo diverso dal nostro sistema percettivo – in fondo, il motore di ricerca deve pur avere qualcosa in comune con l’utente –, che organizza gli stimoli e traspone le informazioni nella forma più ordinata, simmetrica e prevedibile possibile, secondo una serie di direttive precise: la distanza, la forma, la consistenza e la relazione tra tutto questo e l’esperienza, la memoria, le convenzioni.
Ça va sans dire: tradurre vale sempre come tradire e sono proprio questi scivolamenti che Andrea Bolognino fissa indelebilmente su una superficie significante. L’accogliente ambiente unico della Galleria Acappella di Napoli, che presenta la seconda personale dell’artista nato nel 1991, viene così saturato da una serie discontinua di errori su tela o carta, ridondanze mnemoniche o ambientali rimandanti a qualcos’altro di indefinito. Seducenti e fatali, questi bug nelle routine organiche si sovrappongono strato su strato, tra offuscamenti e luccicori, andando a comporre, sul fondo di quel sublime inganno della rappresentazione piana, una indistricabile stratigrafia di visioni più o meno periferiche, latenti o retiniche, spesso notturne oppure aurorali, quando ogni cosa può cadere più liberamente nell’altra.
Come già in altri momenti della sua ricerca, Bolognino manipola con sicurezza e sincerità le diverse gradazioni dell’inesattezza, del malinteso, del difetto rifrattivo e focale ma anche dell’incongruenza materica, restituendole attraverso una linea preziosa e risuonante di sensazioni epidermiche. Così, tra le opere in esposizione da Acappella si seguono le tracce di uno stupore destabilizzante, similmente a quanto si può ritrovare al cospetto di certe Pitture nere di Francisco Goya, come Atropo, Visione fantastica e Duello rusticano, per la serena e feroce incoerenza attraverso la quale sfondi e figure arrivano a distendersi su un unico piano, contraddicendosi senza alcuna mediazione, come lacerti di memorie sfuggenti, suggestioni letterarie e impressioni sovrapposte.
La mostra di Andrea Bologino alla Galleria Acappella sarĂ visitabile fino al 30 aprile 2024.
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