La scuola di Venezia, installation view, Fondazione Coppola, Vicenza
Per quattro secoli Venezia e Vicenza hanno camminato assieme sotto la Serenissima. Dal 1404 al 1797, Vicenza, parte dello ‘Stato da Tera’ della Repubblica Veneziana, conobbe uno sviluppo economico, culturale e urbanistico significativo. Anche dal punto di vista militare, vide rafforzare le proprie mura e la riconversione in chiave difensiva di architetture che, nel Medioevo, erano state trasformate in edifici civili. Tra queste, il Torrione di Porta Castello, sede dal 2018 della Fondazione Coppola: un’imponente torre medievale di circa 40 metri d’altezza che fino al 20 ottobre ospita La Scuola di Venezia.
La mostra presenta cinque artisti formatisi all’Accademia di Belle Arti di Venezia: Thomas Braida, Chiara Calore, Nebojša Despotović, Eric Pasino e Paolo Pretolani ed è distribuita nei diversi livelli del torrione sino alla torretta centrale dell’osservatorio, punto più alto. Con l’obiettivo di celebrare il rapporto tra le due città, la mostra si sviluppa in un percorso narrativo ciclico e ascensionale, sia fisico che simbolico, che richiama le geografie dantesche della Divina Commedia. Non a caso, l’esposizione si articola in tre passaggi distinti, dove l’acqua occupa il livello intermedio: un purgatorio, se volessimo interpretarlo in chiave dantesca.
Nei primi due livelli trovano luogo opere che rimandano alla quiete, alla morte, al sonno, in una contemporanea reinterpretazione dell’Inferno. In questi livelli si trovano un dolcissimo viso dormiente sulle sfumature del blu e da un’estetica prevalentemente materica di Despotović con Mia Sleeping (2025), e le opere di Pasino, con i loro caduchi rimandi alle Vanitas barocche, come Diaspora (2023) e Farandola Nera (2024).
I due piani seguenti sembrano essere stati concepiti come un rito di passaggio, una catarsi. Essi continuano l’esposizione dove l’attenzione viene dedicata all’acqua, alla sua forza nell’adattabilità, nel suo plasmarsi, quasi come rito di transizione, proprio come avviene nel Purgatorio. Qui si ritrovano opere di Pretolani come Akuafan (2020), in cui echi di drappeggi damascati dei vestiti dei grandi dogi sembrano riecheggiare nei moti ondosi sulla tela, o Tempus Fugit! Fio mio (2023) di Braida, dove un granchio dai colori vivaci regge una clessidra, a ricordare la caducità della vita.
Lasciato il mondo di mezzo, pare di essere ormai finalmente liberi di godere: godere della vista, della luce, elementi caratteristici dell’interno della parte più suggestiva del torrione. Diceva Virgilio a Dante nel congedarsi: “Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; / lo tuo piacere omai prendi per duce; / fuor de l’erte vie, fuor se’ de l’arte”. Nell’osservatorio, la parte più alta (e più luminosa) della torre, ecco che si apre l’ultimo livello narrativo della mostra, dove si celebrano, sia sul piano artistico che visivo (la vista sulla città è stupenda!), le città di Vicenza e Venezia.
Filo conduttore dell’intero percorso espositivo è il richiamo alla tradizione pittorica della Scuola Veneziana, riscontrabile negli oggetti simbolici come animali, teschi, clessidre, conchiglie e nella rappresentazione contemporanea di nature morte e memento mori. Un’eredità che si riflette anche nella densità e nell’articolazione compositiva delle tele a soggetto urbanistico: come in Playmobill (2024) di Braida, dove città immaginarie evocano scenari pittorici del passato, in particolare quelli di Canaletto; o in Requiem4 (2025) di Calore, dove un giovane, abbigliato con vesti che richiamano le sontuose tele del Veronese, indossa un turbante ‘alla turchesca’.
A conclusione del percorso, sul punto più alto della torretta, l’opera permanente Sit Down to Have an Idea di Andrea Bianconi invita a fermarsi, sedersi e osservare Vicenza dall’alto. Magari per ripercorrere mentalmente il viaggio ascensionale appena compiuto e, chissà, lasciarsi ispirare da quella inedita prospettiva dall’alto…per farsi venire una buona idea.
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