Gli escamotage, make up e filtri digitali, utilizzati quotidianamente per la creazione delle fotografie personali pubblicate dagli utenti dei social, vengono interpretati dal duo J&PEG, formato da Simone Zecubi (Busto Arstizio, 1978) e Antonio Managò (Gallarate, 1979), come un velo glamour e patinato che si pone tra lo sguardo dell’osservatore e i soggetti di natura morta da loro ritratti. Vasi, fiori, carta e visi su sfondi monocromo sono frammentati attraverso un processo di stratificazione visiva che ne impedisce la corretta comprensione.
La tecnica utilizzata da J&PEG genera, come afferma il curatore della mostra Carlo Sala, «una frattura tra il principio di realtà e la costruzione semantica che offriamo noi. I panneggi utilizzati dal duo per occultare tanto gli oggetti, quanto i volti delle persone ritratte, hanno la funzione di provocare dei cortocircuiti nella linearità rappresentativa e percettiva che usualmente domina la comunicazione vernacolare del nostro tempo».
Dove si applicano i filtri l’immagine viene dunque nascosta e trasfigurata al punto da celare la sua forma originale. Ne è un esempio l’opera Still life 09 (2023) in cui la natura ormai avvizzita dei fiori viene parzialmente svelata. I petali appassiti sono un possibile rimando al tema della vanitas che, come nell’iconografia pittorica, simboleggia la caducità della vita e l’effimera condizione della bellezza.
Gli artisti invitano ad immergersi nel processo creativo che conduce all’immagine finale attraverso l’esposizione dell’allestimento del set utilizzato per la realizzazione della serie Fake life (2019 – oggi).
A corredo della mostra nella galleria Gagliardi e Domke, per raccontare sinteticamente l’evoluzione del lavoro di J&PEG prodotto negli ultimi anni, sono esposte altre opere fotografiche legate allo stesso concetto di mascheramento del soggetto.
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