Lâopera The One Minute Stalker di Ivan Moudov, posta nel corridoio dâingresso della Galleria Alberta Pane, accompagna il visitatore allâinterno degli spazi della mostra e lo introduce al tema centrale della collettiva I Wish It Was Mine. Il fulcro della mostra Ăš infatti la nozione di desiderio, ripresa dal film Stalker di Tarkovskij del 1979, dal quale Ivan Moudov ha costruito una narrazione in grado di guidare i visitatori attraverso la Zona, alla ricerca di quel luogo mitico conosciuto come La Stanza, concetti chiave del viaggio catartico sul quale si incentra il film di fantascienza del 79.
«Sono stato invitato a organizzare una mostra collettiva alla Galleria Alberta Pane. Ho cercato di scegliere opere che avrei voluto fossero mie o che avrei voluto realizzare. A volte Ú proprio questa la spinta propulsiva che fa nascere la collezione di un artista.», spiega Mudov. Una selezione che ha portato a riunire le opere di otto artisti internazionali: Claire Fontaine, Gelitin, Minå Minov, Ivan Moudov, Alban Muja, Anri Sala, Selma Selman e Ulay.
Lâambientazione in cui le opere sono posizionate Ăš quella della Stanza del film di Tarkovskij, il luogo mitico in cui chiunque entra vede esauditi i propri desideri terreni, facendo emergere nel visitatore solo quelle che sono le vere aspirazioni individuali. Le opere dei sette artisti danno dunque vita ad uno spazio di contemplazione e riflessione, dove i confini della realtĂ vengono superati e lâimmaginazione viene liberata. Ivan Moudov spiega che «come lo Stalker, che conduce i suoi compagni attraverso la Zona per scoprire i loro desideri piĂč reconditi, I Wish It Was Mine invita lo spettatore a esplorare i propri sogni, a superare i confini della realtĂ e ad abbracciare lâignoto».
Unâidea che si concretizza al meglio anche grazie alla conformazione degli spazi della galleria veneziana. Un piccolo corridoio del quale sembra non si scorga la fine funge da passaggio dalla quotidianitĂ , a quella Zona descritta da Muodov, quel luogo di contemplazione ed esplorazione che si materializza nei grandi spazi dellâex falegnameria che oggi ospitano la Galleria Alberta Pane.
Nel passaggio tra una zona e lâaltra si trova unâopera di Ulay del 1973, Sâhe, un autoritratto di cui lo stesso autore spiega lâimportanza «Scattare polaroid era per me un atto performativo: Mi esibivo davanti alla macchina fotografica. Erano azioni intime, compiute in assenza di un pubblico in carne e ossa, di natura effimera, ma fermate nel tempo».Un artista pioniere dellâarte performativa, come dimostra la sua seconda opera in mostra, Irritation â There is a Criminal Touch to Art, che racconta una sua performance del 1976, in un set di 11 fotografie analogiche stampate nel 2018. Nello specifico Ăš la documentazione del furto di Ulay del dipinto preferito di Hitler, Il povero poeta di Carl Spitzeg, dalla Neue National Galerie di Berlino. Gesto che era in realtĂ una messinscena: lâartista infatti era entrato in precedenza nel museo e aveva aperto una porta di sicurezza per poi poter fuggire rapidamente e raggiungere la casa di un immigrato turco in un quartiere povero di Berlino, in cui appendere il dipinto. Una performance molto nota anche perchĂ© Ăš stata lâultima opera personale di Ulay prima di iniziare a collaborare con Marina AbramoviÄ, con la quale ha avuto una nota e travagliata relazione sentimentale e artistica rendendoli unâicona della performance art del XX secolo.
Una collezione, quella ideale creata da Muodov, che presenta un amplio ventaglio di punti di vista, da quello dellâartista concettuale femminista Claire Fontaine, che da forma attraverso a readymade ad una riflessione sulla societĂ capitalistica contemporanea, fino a Gelitin, un collettivo formatosi a Vienna che ha fatto del coinvolgimento del pubblico il suo tratto distintivo. Tra le opere video in mostra vi Ăš anche Do not look into Gypsy eyes: «à il mantra della donna âromâ iper-sessualizzata, esotica, erotica ed eccitante, ma anche un poâ troppo pericolosa, un poâ troppo âvolgareâ, un poâ troppo seducente â una donna i cui occhi ti catturano, ti incantano e ti maledicono. Questo lavoro si basa sugli stereotipi e sui pregiudizi sulla donna rom. Come membro di questa comunitĂ , come donna e artista, voglio provocare il pubblico e attirare la sua attenzione contro la discriminazione e la mercificazione del corpo femminile». Come spiega lâautrice Selma Selman, prima studentessa rom a conseguire un BFA presso il Dipartimento di Pittura dellâUniversitĂ di Banja Luka nel 2014.
Anche lâartista bulgaro MinĂĄ Minov, che lavora soprattutto con opere performative e interattive, presenta unâinstallazione video partecipativa, Observatory #3. Trasformazione e tempo sono solo alcuni elementi sostanziali sia della pratica di Alban Muja che di Anri Sala, entrambi artisti multidisciplinari che lavorano attraverso una pluralitĂ di relazioni tra tecniche.
Una pratica comune anche allâartista e curatore della mostra Ivan Moudov che spazia dalla fotografia al video, alla performance e allâinstallazione, presentando un lavoro dalla forte carica metaforica, mette in discussione le condizioni sociopolitiche ed economiche dellâarte e il suo rapporto con i sistemi di potere. Ritornando allâopera che apre la mostra The One Minute Stalker offre la possibilitĂ di una visione unica del film iconico di Tarkovsky, condensando i suoi 161 minuti in unâimmagine monumentale, composta da frammenti di un minuto ciascuno. Ogni elemento rappresenta una micro-azione che insieme alle altre forma delle file di piccole capsule temporali, accompagnate da un suono composto da Sibin Vasilev. Unâinstallazione che mira a esplorare la percezione spaziale delle singole micro-immagini, permettendo agli spettatori di immergersi in un ambiente visivo che innesca sensazioni mentali e corporee relazionate al concetto di tempo.
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