13 maggio 2023

La Galleria Alberta Pane di Venezia presenta la mostra collettiva ‘I Wish It Was Mine’

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La sede veneziana della Galleria Alberta Pane riunisce opere di otto artisti internazionali, in 'I Wish It Was Mine', visitabile fino al 29 luglio

Ulay, _Irritation - There is a Criminal Touch to Art_, 1976_Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza

L’opera The One Minute Stalker di Ivan Moudov, posta nel corridoio d’ingresso della Galleria Alberta Pane, accompagna il visitatore all’interno degli spazi della mostra e lo introduce al tema centrale della collettiva I Wish It Was Mine. Il fulcro della mostra è infatti la nozione di desiderio, ripresa dal film Stalker di Tarkovskij del 1979, dal quale Ivan Moudov ha costruito una narrazione in grado di guidare i visitatori attraverso la Zona, alla ricerca di quel luogo mitico conosciuto come La Stanza, concetti chiave del viaggio catartico sul quale si incentra il film di fantascienza del 79.

«Sono stato invitato a organizzare una mostra collettiva alla Galleria Alberta Pane. Ho cercato di scegliere opere che avrei voluto fossero mie o che avrei voluto realizzare. A volte è proprio questa la spinta propulsiva che fa nascere la collezione di un artista.», spiega Mudov. Una selezione che ha portato a riunire le opere di otto artisti internazionali: Claire Fontaine, Gelitin, Miná Minov, Ivan Moudov, Alban Muja, Anri Sala, Selma Selman e Ulay.

Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza

L’ambientazione in cui le opere sono posizionate è quella della Stanza del film di Tarkovskij, il luogo mitico in cui chiunque entra vede esauditi i propri desideri terreni, facendo emergere nel visitatore solo quelle che sono le vere aspirazioni individuali. Le opere dei sette artisti danno dunque vita ad uno spazio di contemplazione e riflessione, dove i confini della realtà vengono superati e l’immaginazione viene liberata. Ivan Moudov spiega che «come lo Stalker, che conduce i suoi compagni attraverso la Zona per scoprire i loro desideri più reconditi, I Wish It Was Mine invita lo spettatore a esplorare i propri sogni, a superare i confini della realtà e ad abbracciare l’ignoto».

Un’idea che si concretizza al meglio anche grazie alla conformazione degli spazi della galleria veneziana. Un piccolo corridoio del quale sembra non si scorga la fine funge da passaggio dalla quotidianità, a quella Zona descritta da Muodov, quel luogo di contemplazione ed esplorazione che si materializza nei grandi spazi dell’ex falegnameria che oggi ospitano la Galleria Alberta Pane.

Ulay, _S_he_, 1973_Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza

Nel passaggio tra una zona e l’altra si trova un’opera di Ulay del 1973, S’he, un autoritratto di cui lo stesso autore spiega l’importanza «Scattare polaroid era per me un atto performativo: Mi esibivo davanti alla macchina fotografica. Erano azioni intime, compiute in assenza di un pubblico in carne e ossa, di natura effimera, ma fermate nel tempo».Un artista pioniere dell’arte performativa, come dimostra la sua seconda opera in mostra, Irritation – There is a Criminal Touch to Art, che racconta una sua performance del 1976, in un set di 11 fotografie analogiche stampate nel 2018.  Nello specifico è la documentazione del furto di Ulay del dipinto preferito di Hitler, Il povero poeta di Carl Spitzeg, dalla Neue National Galerie di Berlino. Gesto che era in realtà una messinscena: l’artista infatti era entrato in precedenza nel museo e aveva aperto una porta di sicurezza per poi poter fuggire rapidamente e raggiungere la casa di un immigrato turco in un quartiere povero di Berlino, in cui appendere il dipinto. Una performance molto nota anche perché è stata l’ultima opera personale di Ulay prima di iniziare a collaborare con Marina Abramović, con la quale ha avuto una nota e travagliata relazione sentimentale e artistica rendendoli un’icona della performance art del XX secolo.

Ulay, _Irritation – There is a Criminal Touch to Art_, 1976_Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza

Una collezione, quella ideale creata da Muodov, che presenta un amplio ventaglio di punti di vista, da quello dell’artista concettuale femminista Claire Fontaine, che da forma attraverso a readymade ad una riflessione sulla società capitalistica contemporanea, fino a Gelitin, un collettivo formatosi a Vienna che ha fatto del coinvolgimento del pubblico il suo tratto distintivo. Tra le opere video in mostra vi è anche Do not look into Gypsy eyes: «È il mantra della donna “rom” iper-sessualizzata, esotica, erotica ed eccitante, ma anche un po’ troppo pericolosa, un po’ troppo “volgare”, un po’ troppo seducente – una donna i cui occhi ti catturano, ti incantano e ti maledicono. Questo lavoro si basa sugli stereotipi e sui pregiudizi sulla donna rom. Come membro di questa comunità, come donna e artista, voglio provocare il pubblico e attirare la sua attenzione contro la discriminazione e la mercificazione del corpo femminile». Come spiega l’autrice Selma Selman, prima studentessa rom a conseguire un BFA presso il Dipartimento di Pittura dell’Università di Banja Luka nel 2014.

Selma Selman, _Do Not Look Into Gypsy Eyes_, 2016_Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza(1)

Anche l’artista bulgaro Miná Minov, che lavora soprattutto con opere performative e interattive, presenta un’installazione video partecipativa, Observatory #3. Trasformazione e tempo sono solo alcuni elementi sostanziali sia della pratica di Alban Muja che di Anri Sala, entrambi artisti multidisciplinari che lavorano attraverso una pluralità di relazioni tra tecniche.

Una pratica comune anche all’artista e curatore della mostra Ivan Moudov che spazia dalla fotografia al video, alla performance e all’installazione, presentando un lavoro dalla forte carica metaforica, mette in discussione le condizioni sociopolitiche ed economiche dell’arte e il suo rapporto con i sistemi di potere. Ritornando all’opera che apre la mostra The One Minute Stalker offre la possibilità di una visione unica del film iconico di Tarkovsky, condensando i suoi 161 minuti in un’immagine monumentale, composta da frammenti di un minuto ciascuno. Ogni elemento rappresenta una micro-azione che insieme alle altre forma delle file di piccole capsule temporali, accompagnate da un suono composto da Sibin Vasilev. Un’installazione che mira a esplorare la percezione spaziale delle singole micro-immagini, permettendo agli spettatori di immergersi in un ambiente visivo che innesca sensazioni mentali e corporee relazionate al concetto di tempo.

Alban Muja, _Above Everyone_, 2022_Exhibition view _I Wish It Was Mine_, 2023, Alberta Pane Venice. Ph. Irene Fanizza

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