Tesori dei Faraoni, veduta della mostra, Scuderie del Quirinale, ph. Monkeys Video Lab
Entrare in Tesori dei Faraoni alle Scuderie del Quirinale significa sospendere il tempo storico per accedere a un’altra misura della durata, quella che l’antico Egitto ha chiamato eternità. Non un’astrazione metafisica ma una costruzione concreta, fatta di oro, pietra, immagini, rituali e formule: una civiltà che ha concepito l’arte non come ornamento del potere ma come tecnologia dell’immortalità. La mostra, che riunisce 130 capolavori provenienti dal Museo Egizio del Cairo e dal Museo di Luxor, molti dei quali mai usciti prima dall’Egitto, si presenta come una grande narrazione visiva, rigorosa e, insieme, coinvolgente. Il percorso evita di indulgere nella spettacolarizzazione dell’esotico o nella retorica del capolavoro isolato, al contrario, costruisce un racconto stratificato, dove ogni oggetto è parte di un sistema simbolico coerente, di una visione del mondo in cui arte, religione e politica coincidono.
L’ingresso è dominato dallo splendore dell’oro, materia incorruttibile e per questo assimilata alla carne degli dei. Il sarcofago dorato della regina Ahhotep II, la Collana delle Mosche d’oro e il collare di Psusennes I introducono immediatamente il visitatore in un universo in cui l’ornamento è linguaggio teologico e politico. L’oro trattiene la luce, la rende eterna. Attorno al corredo funerario di Psusennes I si addensa una costellazione di amuleti, coppe rituali e gioielli di una precisione tecnica impressionante, concepiti per funzionare in un tempo altro, oltre la vita biologica. Dalla magnificenza regale si passa alle pratiche funerarie e alla concezione egizia della morte come trasformazione.
Il monumentale sarcofago di Tuya impone la sua presenza silenziosa come un’architettura del corpo, mentre shabti, vasi canopi e il papiro del Libro dei Morti restituiscono la dimensione razionale con cui gli Egizi preparavano il viaggio nell’aldilà, fondato sull’idea di un ordine cosmico da preservare.
Il percorso si apre poi al volto umano del potere, con le testimonianze dei funzionari e dei nobili che rivelano la regalità come sistema diffuso di responsabilità, fino alla sorprendente intimità della poltrona dorata di Sitamun, oggetto domestico che racconta affetti e continuità familiare. La sezione dedicata alla Città d’Oro di Amenofi III restituisce la voce degli artigiani e dei lavoratori, mostrando l’Egitto come civiltà produttiva, fondata su saperi tecnici e gesti quotidiani.
Il percorso culmina nella regalità divina: l’Hatshepsut inginocchiata, la diade di Thutmosi III con Amon, la Triade di Micerino e la maschera d’oro di Amenemope costruiscono un’immagine del faraone come corpo del dio e del dio nel corpo, non ritratto ma icona, funzione cosmica più che individuo.
In chiusura, la Mensa Isiaca riannoda il filo che lega l’Egitto al Mediterraneo e a Roma, ricordando come questa civiltà non sia mai stata davvero altra ma parte integrante della storia culturale europea.
Tesori dei Faraoni non è soltanto una grande mostra archeologica ma un racconto civile che restituisce l’antico Egitto come civiltà del pensiero, capace di parlare al presente. In un tempo che fatica a immaginare il futuro, la mostra ricorda che l’eternità non è una promessa astratta ma una costruzione culturale e che l’arte, quando nasce da una visione del mondo, può davvero attraversare i millenni.
La mostra sarà visitabile fino al 3 maggio 2026.
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