People I Know, 2025. Installation view, LABS Gallery, Bologna
Ci sono incontri che non finiscono mai, ma si sedimentano. Così nasce People I Know da un movimento fisico, da un attraversamento del mondo che diventa il pretesto di una conoscenza artistica e riconoscimento dell’altro. Il gallerista Alessandro Luppi incontra le tre artiste — Lucia Cristiani, Finja Sander, Elisabeth Sonneck — e da questi incontri nasce questo progetto personale che è anche un atto di fiducia nella materia e nella sua capacità di raccontare.
Le tre artiste, d’altronde, hanno accettato la non finitudine di questo rapporto e, proprio da lì, hanno iniziato a lavorare insieme. Lo studio è esplorazione, e il lavoro dell’artista è studio. Così le singolarità dei loro spazi si tramutano in uno espositivo unico, in cui le opere non si guardano soltanto, ma si giustappongono. In queste associazioni si compie il gesto più umano, quello di riconciliarsi con il mondo, pur nelle differenze che lo abitano. Elisabeth Sonneck lavora con rotoli di carta che si srotolano in dialogo con materiale autoctono bolognese, recuperando dei mattoni urbani. L’opera Scrollpainting (2025) si trasforma così in un corpo cromatico che si avvolge, dispiegandosi in una forma libera se non per un occhiello a dare sostegno, equilibrandosi fino a confondere il gesto con il colore. A questa dimensione installativa si associa una ricerca sulla sedimentazione della memoria, maturata durante una residenza in Francia, dove l’artista ha indagato le forme del saluto alla morte all’interno di un cimitero.
Nelle sculture e nelle performance di Finja Sander il corpo diventa un trasmettitore, una comunicazione di passaggio dall’artista all’opera. A partire dai suoi atti performativi, quello che rimane è il lascito della traccia dell’azione, come in una scena investigativa. In Schutzwall (2024), l’elastico che sosteneva il suo corpo diventa sostegno del quadro, in un’altra opera la traccia si imprime come una sindone su un foglio di pluriball. Sander utilizza se stessa come un campo di tensione estrema, fino a farne materia, come se la pelle stessa fosse superficie di un’opera.
Lucia Cristiani in Spugna persa (2025) lavora, invece, con la metamorfosi. Sono organismi marini che diventano bronzo, la spugna muore e ne rimane solo il suo calco a ricordare la forma naturale. Nei dittici, invece, Cristiani agisce come un’alchimista, cercando un equilibrio chimico di materiali come la cenere e il sapone. Le superfici dell’opera brillano e minuscole sfere affiorano, simulando una costellazione. “Le conosco” sembra dire il titolo. Ma conoscere, qui, non significa solo immagazzinare qualcosa, significa trasmettere agli altri le proprie scoperte. La mostra diventa allora una forma di relazione con il visitatore che insieme cercano, con la lingua che hanno, di parlare.
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