Luca Grimaldi, Viennese, 2024. Olio su tela (40x80,5cm) - Immagine della mostra L’ultimo Invitato, 1/9unosunove, Roma, 2024 - Ph. Giorgio Benni - Courtesy 1/9unosunove
L’Ultimo Invitato, bipersonale alla galleria 1/9unosunove di Roma che vede Giulio Bensasson e Luca Grimaldi vicini sotto la curatela di Giulia Tornesello, si presenta come un discorso a più voci sull’ambiguità e la contraddittorietà del presente. Varcata la soglia, si diventa partecipi di una festa in cui non si celebra nessun valore se non quello ossimorico della vuotezza dell’opulenza. La tavola è imbandita, sembra esserci tutto in abbondanza, eppure un senso di assenza e amarezza si insinua.
Il complesso si costruisce tramite connessioni e contrasti, scintille che scaturiscono dal contatto tra le opere. Gli esiti delle ultime ricerche, per quanto differenti nel linguaggio, condividono intenzionalità e strategia di metodo. Nel descriverli, la curatrice parla di «Mancanza di pittura e mancanza di scultura nella misura in cui i volumi, pittorici o scultorei, vengono definiti per sottrazione e non per aggiunta».
Nei Trionfi di Bensasson, la decorazione emerge dal negativo dei calchi e ospita nel cuore una reliquia di polvere. «Un materiale che potenzialmente contiene in sé qualsiasi cosa – dalle nostre cellule morte, fino a una piccola percentuale di polvere cosmica – ma che allo stesso tempo rappresenta tutto ciò che non c’è più», spiega l’artista. Anche l’elemento ricorrente e centrale del fiore, qui, sparisce del tutto, lasciando posto al motivo delle Grottesche.
Dall’economia del segno, invece, nascono le tele di Grimaldi, immediate presentazioni di un’immagine familiare di dominio pubblico dove – come racconta lui stesso – «Il soggetto non è propriamente il soggetto, quanto l’immagine di esso; una continua tensione tra il finto e il vero».
Entrambi dimostrano un approccio architettonico, sia nella realizzazione delle singole opere che nel rapportarsi con gli spazi espositivi della galleria 1/9unosunove, caratterizzati dai soffitti e dai pavimenti storici di Palazzo Santacroce. Le strutture dipinte da Grimaldi ricordano torri di Babele di panna o di prosciutto; mentre la Viennetta rimanda immediatamente a un sarcofago classico. Il gesto pittorico e il suo essere regolarmente frammentato erige, piano per piano, nature morte monumentali. La pennellata in sé, la sua dimensione, la quantità e le caratteristiche del colore di cui sono impregnate le setole è uno dei temi centrali della sua ricerca che utilizza il pennello stesso come strumento scultoreo.
Dall’altro lato, le sculture di Bensasson accentuano e negano l’architettura insieme, poiché si formano scavando nel corpo della materia. Il cono vuoto che si apre nella parte superiore delle opere per attraversarle fino al fondo «Ingloba lo spazio nel senso più fisico del termine, accogliendo il mondo circostante attraverso le sedimentazioni di pulviscolo». E così, la forma del reliquiario smette di essere propriamente funerea per diventare celebrativa, una glorificazione dello scorrere del tempo la cui sedimentazione in polvere diventa strumento per una misurazione tangibile; come la definisce la curatrice «Una clessidra che invece che svuotarsi continua a riempirsi inesorabilmente».
Una mostra declinata al futuro anteriore quindi, una constatazione di ciò che avremo avuto, di ciò che saremo stati. La testimonianza di una festa che si sta protraendo nell’eterno presente celebrando il vuoto, con la speranza e l’angoscia che arrivi la fine con L’ultimo invitato.
La mostra di Luca Grimaldi e Giulio Bensasson sarà visitabile alla galleria 1/9unosunove di Roma fino all’1 settembre 2024.
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