Categorie: Mostre

Simon Callery, quando il paesaggio si fa pittura: la mostra a Roma

di - 21 Febbraio 2025

A Roma, sarà visitabile fino al 14 aprile 2025 la mostra personale di Simon Callery presso la Galleria 1/9unosunove. Simon Callery. Red and Orange Step Paintings presenta al pubblico un corpus di opere inedite realizzate dall’artista tra Italia e Inghilterra negli ultimi anni. Callery, londinese, classe 1960, basa il suo linguaggio visivo sul contatto con il terreno e con il paesaggio. Originato dalla sua vicinanza con le pratiche degli scavi archeologici, questo interesse si è poi autonomizzato in un processo creativo lento e immersivo.

Come racconta l’artista, le opere in mostra nascono da un soggiorno nelle Valli di Lanzo: all’incrocio tra due fiumi, la Stura di Lanzo e la Stura di Viù, Callery lavora alla prima fase delle sue opere. I contact painting nascono dal rapporto con i fiumi e con il terreno: dopo aver immerso le tele per ammorbidirle, l’artista le riporta nel suo studio per tingerle, prevalentemente di rosso, una tempera rosso cadmio scuro, che è diventato un tratto distintivo delle sue opere.

Simon Callery, veduta della mostra, Galleria 1/9unosunove, Roma, 2025, ph Roberto Apa, courtesy of 1/9unosunove

La descrizione che l’artista fa del suo lavoro è tecnica, pratica e materica: «Il colore che uso è la tempera, sciolgo il pigmento in polvere nella colla di coniglio e lo applico sulla tela quando è ancora caldo con una spugna. Il pigmento che ho usato di più per questo gruppo di lavori è il rosso cadmio scuro, che ha una grana molto fine per cui viene assorbito più facilmente nelle fibre aperte e ammorbidite del cotone. In questo modo il colore si unisce al tessuto».

Dopo aver tinto la tela, essa viene riportata sul fiume e stesa sulle rocce: l’artista segna i punti di contatto, le sporgenze del terreno sottostante. Taglia quelle sezioni di tela. Da questo procedimento le opere assumono l’aspetto divenuto poi firma dell’artista: strutture grezze, con parti forate recise in modo frastagliato e impreciso, proprio come l’aspetto di superficie rocciosa. I frammenti prelevati da questo ultimo passaggio vengono poi fissati dall’artista sulla tela stessa, con fili d’acciaio, rame o piccoli spilli.

Simon Callery, veduta della mostra, Galleria 1/9unosunove, Roma, 2025, ph Roberto Apa, courtesy of 1/9unosunove

L’operazione che Callery porta avanti è quindi strettamente legata all’ambiente di realizzazione: il risultato non è però un’opera che “rappresenta” il terreno o il paesaggio, ma che invece incarna la sua matericità e il “contatto fisico” tra tela e ambiente. Da qui, il nome contact painting si sostanzia in una vicinanza per contatto con la natura. Il lavoro svolto in studio collega poi l’esterno con l’interno, dando all’artista anche più tempo «Per riflettere e rivedere i dettagli del lavoro, o modificare le proporzioni o definire le misure precise del quadro».

L’affascinante processo creativo di queste opere difficilmente è immaginabile nel contesto urbano galleristico: la galleria 1/9unosunove accoglie invece una riflessione che campeggia sulle grandi pareti bianche dello spazio. Nella fruizione della mostra il movimento viene inserito nell’equazione: le grandi tele, ripiegandosi su loro stesse, invitano lo spettatore a osservarne lo spazio interno, i perimetri e la luce che entra attraverso i fori all’interno della struttura.

Le direzioni e le profondità prendono forma come nei metodi stratigrafici, invertendo però la logicità funzionale all’ipotetico scavo: verticale e orizzontale, sopra e sotto, dentro e fuori, pur essendo indicazioni spaziali, perdono di senso nell’osservazione delle opere di Callery. Le tracce delle superfici orizzontali su cui ha lavorato Callery, trasportate sulla tela, saranno ruotate di 90° per essere esposte a parete.

Simon Callery, veduta della mostra, Galleria 1/9unosunove, Roma, 2025, ph Roberto Apa, courtesy of 1/9unosunove

“L’immagine” – e le sue regole – in queste opere decade, così come lo sguardo statico e convenzionale di uno spettatore di fronte a un’opera a parete. Poche opere abitano lo spazio della galleria, costruendo quasi una continuità paesaggistica: un’unica gialla, che spezza la sequenza color ruggine delle altre cinque rosse.

Le grandi opere, lunghe anche due metri, sono a tratti intervallate da quattro carte incorniciate, che l’artista ha realizzato nel 2024. I due Red and Rust (A e B) e i due Untitled sono piccoli rettangoli di carta fatta a mano, dove le nuances dei contact paintings vengono riprese replicando le strutture in due dimensioni: le stesse geometrie e gli stessi incastri che le tele strutturano nei pezzi tridimensionali ritornano in queste opere.

Nella galleria, si configura quindi un vero e proprio paesaggio, fatto di vuoti, di pieghe e di fori, che riportano la casualità e allo stesso tempo l’armonia della natura. La mostra riporta una pratica unica nel suo genere, interdisciplinare e affascinante, che invita a riflettere sulle convenzioni della superficie pittorica.

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