Risacche, tempeste, deserti, campi: il paesaggio è sempre protagonista nei lavori di Matteo Montani, in esposizione per “A lungo andare”, mostra visitabile alla Galleria Valentina Bonomo di Roma fino al 30 novembre.
Parlando con l’artista affiorano riferimenti importanti in questa ultima fase della sua ricerca: il filosofo francese Francois Julienne e il pittore cinese Su Dongpo per le loro riflessioni sulla forma del paesaggio, i “disormeggi proustiani”, il peso sociale e culturale dei segni nella visione di Rainer Maria Rilke. Il suo lavoro nasce girovagando nella mente, in quella zona liminale che è l’attesa di un’apparizione.
Il miracolo del colore, nelle opere di questa mostra, è frutto di una lunga gestazione. Si palesa in agglutinazioni inaspettate grazie alle emulsioni di polveri di bronzo, alluminio e rame mescolate a colore diluito. Nel suo procedimento di lavoro, Montani, come sempre, contempla e accoglie l’entropia della materia, gestita nel corso di una intensa performance fisica sull’opera e con l’opera, muovendo il supporto cosicché il colore se ne appropri e trovi una propria geografia. Il quadro “accade”, come sostiene l’artista.
Gli ultimi lavori di Montani, presentati da Valentina Bonomo, accentuano la forte presenza della luce che esce e che, incontrando quella esterna, restituisce paesaggi astratti, fatti di forme mai date e “non rappresentate” nell’ accezione tradizionale: veri e propri miraggi che cambiano a seconda dell’angolazione dello sguardo e della nostra condizione interiore. Perché, come dichiara Montani, «Munch sosteneva che la pittura è la cristallizzazione della natura nel rovescio della palpebra».
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