Vincenzo Schillaci | 2020, Rising of the Moon, studio view at Galerie Rolando Anselmi, Berlin, photo by Riccardo Malberti, courtesy Galerie Rolando Anselmi
“Rising of the Moon” è il titolo della mostra del nuovo corpus di opere realizzato da Vincenzo Schillaci durante il primo capitolo del programma di residenze inaugurato a settembre da Rolando Anselmi nella sua sede berlinese. Ne parliamo con l’artista in questa anticipazione. L’intervista integrale sarà pubblicata nell’imminente nuova edizione di exibart.onpaper.
Come riassumeresti la tua residenza a Berlino in una frase?
«Citando Novalis, “imparare è piacevole, ma il fare è l’apice del divertimento”».
Qual era la tua giornata tipo?
«Uno dei riti che determina una giornata lavorativa “fortunata” da una “sventurata” è accendere la prima sigaretta del giorno entrando in studio. A Berlino avere casa a pochi metri dalla galleria mi ha fatto illudere che ogni giornata fosse fortunata. Perpetuare il mio rito ed essere pronto ad articolare il lavoro: et voilà̀, la mia giornata tipo».
Quali opportunità hai avuto dall’accesso costante in residenza allo spazio della galleria?
«Mi ha permesso di instaurare un dialogo constante con il volume potenziale dello spazio. Le singole opere con il loro carattere, la loro presenza tangibile e le loro caratteristiche materiche a un certo punto si sarebbero dovute evolvere secondo le caratteristiche di questo spazio e trovare un’unità di insieme. Lavorando quotidianamente in galleria sono riuscito ad articolare la produzione tenendo sempre a mente che le riflessioni esistenziali che mi hanno spinto a costruire la mostra potessero manifestarsi solo attraverso questa unità tra le opere e la loro relazione con lo spazio».
Nei mesi trascorsi a Berlino ti sei concentrato su un nuovo progetto artistico, Romanticism is not Romantico. Ce ne parli, a partire dal titolo che hai scelto?
«Romanticism Is Not Romantico è il titolo di un nuovo corpus di opere che ho sviluppato a Berlino durante la residenza, presentato in occasione della mia prima personale nella galleria berlinese di Rolando Anselmi, Rising Of The Moon. Si tratta di una serie chiusa di dipinti ad olio, che conta circa una trentina di opere. I dipinti sono delle “copie” di stralci di cielo rimodulati in scala, estratti da paesaggi del Romanticismo tedesco. Il titolo vuole giocare sull’incongruenza dei significati semantici legati al termine italiano, comunemente riferito a un artificioso campo emotivo carico di sentimentalismo e, spesso, indifferente al fenomeno ottocentesco del Romanticismo.
Rising of the Moon è un tentativo di evocare una nuova insorgenza della dimensione intuitiva e sensazionale, in cui il cielo e la materia pittorica assumono un unico valore simbolico; come spazio ignoto ma riconoscibile che racconta la vita nella sua alterità. Vorrei sottolineare il fatto che, per quanto mi riguarda, tutto questo non è altro che un pretesto per poter dipingere, e per trovare un modo di interrogarmi rispetto al ruolo complesso che un dipinto dovrebbe svolgere oggi».
La tua pratica pittorica è complessa e stratificata. Come la descriveresti?
«Molti dei lavori degli ultimi anni sono realizzati con una tecnica che in passato era utilizzata per marmorizzare le superfici. È una tecnica che mi vincola molto, in un qualche modo è diventata una sorta di gabbia, un sistema che determina un campo d’azione molto limitato e che mi costringe a delle rotture, a delle cesure, a volte anche con quelle che sono le mie attitudini. Penso che questo, in un modo strano, mi aiuti o mi illuda di riuscire ad attivare dei potenziali sensibili che io credo esistano nelle opere. La volontà di “rappresentare” comunque rimane alla base di ogni opera».
A che punto decidi che un tuo lavoro è finito?
«Anche se sembra paradossale, direi che lo decido insieme a ogni opera. Con tutti i dipinti sviluppo una sorte di comunione di intenti. L’aspetto fondamentale è riuscire a sublimare un fallimento annunciato».
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