Categorie: Musei

«Il museo è per sua natura politico»: Luca Lo Pinto racconta i suoi anni di direzione al MACRO di Roma

di - 19 Febbraio 2025

Un “museo da sfogliare”. È il lascito principale per cui verrà ricordato Luca Lo Pinto (Roma, 1981), che lascia il Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO) dopo cinque anni di direzione. Un percorso cominciato all’inizio del 2020, in piena pandemia, e che si è prolungato, tra chiusure e rinvii, due anni più del previsto. Curatore presso la Kunsthalle di Vienna prima e co-fondatore di NERO Magazine (oggi casa editrice NERO Editions), Luca Lo Pinto durante il suo mandato ha dato al polo culturale di Roma un nuovo approccio che si avvicina per più aspetti a un modello editoriale, affermando fin dalla prima conferenza pubblica la volontà di lavorare su un nuovo modello da concepire, su una idea di magazine che potesse rendere le mostre di veri e propri editoriali.

Luca Lo Pinto. Portrait by Guido Gazzilli

Un percorso che si è aperto con la mostra dal titolo MUSEO PER L‘IMMAGINAZIONE PREVENTIVA, EDITORIALE e si è chiuso con Post Scriptum. Un museo dimenticato a memoria, ospitando in mezzo decine di esposizioni di diversi generi e dimensioni, dagli artisti affermati alle realtà emergenti. E mentre si aspetta di capire chi sarà a prendere le redini del MACRO – una nomina già immersa in un incomprensibile ritardo – abbiamo voluto approfondire con Lo Pinto le idee che hanno plasmato i contenuti del museo capitolino durante la sua direzione.

MACRO. Ph Agnese Bedini e Melania Dalle Grave di DSL Studio

Il tuo progetto ha comportato una difficoltà di lettura per molti, uno sforzo per cercare di capire anche ciò che non è di facile immediatezza. Ora che il tuo mandato è giunto al termine, ti senti di dire che questo concept sia riuscito?

«A giudicare anche dal riscontro delle persone, penso che quella che era un’intuizione sia diventata realtà. Come per una mostra, si parte da un’idea – in questo caso quasi un’illuminazione – poi si pensa ai contenuti, e la parte più complessa e avvincente è editarli, impaginarli e fare in modo che possano performare al meglio con una voce poetica, complessa e accessibile. L’obiettivo era quello di proporre una visione di arte, di museo e di mostre non autoreferenziali, impossibili da riassumere in uno slogan, eppure capaci di alimentare curiosità e piacere per tutti i sensi».

Le mostre, gli “editoriali” che si sono avvicendati, hanno dato l’idea di un evento senza soluzione di continuità. Ogni visita al Macro è stata un’occasione per vedere qualcosa di nuovo, grazie anche a questa idea di non inaugurare tutto assieme, ma dando lustro ed importanza ad ogni evento. Il tutto, gratuito fino a poco tempo fa. In questo modo mi è sembrato che volessi dare una lettura corale di ciò che stava succedendo, con mostre ed eventi che si avvicendavano. Cosa puoi dirci dell’originalità di questa idea, unica a Roma ma forse in tutta Italia?

«Il tentativo è stato quello di uscire dalle convenzioni, cambiando il punto di vista, senza tradire il rispetto per il museo e per ciò che rappresenta come istituzione. Anzi, l’intento è stato cercare di andare a fondo nelle sue potenzialità e nel legame che può – e dovrebbe – creare tra il pensiero degli artisti e quello delle persone che lo visitano».

MACRO. Ph Pier Carlo Quecchia DSL Studio

Voglio ricordare almeno tre mostre importanti che hai realizzato: quella dedicata a Emilio Prini, quella a Diego Perrone e, ultima, la strepitosa mostra di Elisabetta Benassi. Come mai hai scelto questi artisti?

«Hai citato tutti i progetti che avevano l’ambizione di essere retrospettive rapportandosi all’idea di “mostra come opera”, ovvero tentando di sottrarsi a un noioso esercizio di retorica espositiva ed esaltando la forza della poetica di ciascuno di questi artisti. La scelta è stata motivata da ragioni diverse».

Quali?

«Prini è uno degli artisti a cui sono più legato sia umanamente che professionalmente. Fare una sua mostra è stata insieme una sfida e un atto d’amore. Nel caso di Diego e di Elisabetta, la scelta è stata quella di invitare artisti verso cui ho sempre nutrito un grande rispetto e meritavano delle mostre ambiziose in grado di restituire una ricerca trentennale».

MACRO, Readymades belong to everyone

Ti faccio una domanda scomoda. Rumors cittadini chiedevano e chiedono ancora a questo museo, che ha avuto una vita poco fortunata fin dalla sua nascita, un approfondimento, un focus sulla città, su Roma, sui suoi artisti. Pensi di avere lavorato in questa direzione, oppure hai voluto proporre alternative?

«Credo che adottare Roma come criterio o “etichetta” da apporre alla programmazione sarebbe stato davvero semplicistico e poco lungimirante. Diverso è pensare a come la città si relaziona e si è relazionata negli ultimi decenni con l’arte e con gli artisti e immaginare come potrà continuare a farlo con le nuove generazioni. Il museo dovrebbe prima di tutto provvedere a come creare gli strumenti per questa riflessione, piuttosto che ridursi a una vetrina fine a se stessa, un confortevole spazio di autocelebrazione limitato al periodo di una mostra. Sono logiche da superare, e questo è stato ancora più evidente rapportandomi con un museo che era completamente scomparso dal discorso nazionale, per non parlare di quello internazionale».

Raccontaci di più.

«C’è stata in realtà molta Roma in questi cinque anni di MACRO, ne abbiamo riportato alla luce figure fondamentali, che sono state dei fari e delle ispirazioni, oggi un po’ dimenticate. Abbiamo esplorato e mostrato i suoi legami con la storia dell’arte recente; ne abbiamo, a nostro modo, caparbiamente indagato lo spirito e le energie, andandole a cercare anche nel pubblico. Penso alle mostre di Mario Diacono, Richard Serra, Marcia Hafif, Robert Smithson, Simone Carella, Stefano Tamburini, gli artisti presenti in Retrofuturo e i tanti che hanno preso parte alle mostre, incontri, performance».

MACRO, ph. Agnese Bedini DLS Studio

Hai inaugurato con la mostra dal titolo MUSEO PER L‘IMMAGINAZIONE PREVENTIVA, EDITORIALE, e il titolo era un omaggio al progetto Ufficio per lImmaginazione Preventiva creato a Roma nel 1973 dagli artisti Carlo Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca. Concludi con una mostra dal titolo Post Scriptum. Un museo dimenticato a memoria, citando l’espressione di Vincenzo Agnetti Dimenticare a memoria. In entrambi i titoli abbiamo la parola “museo”. Come pensi che dovrebbe essere un museo di arte contemporanea oggi, nel 2025; quali caratteristiche dovrebbe avere?

«Sono convinto che un museo pubblico sia di sua natura politico o almeno questo era uno dei principi fondanti. L’altro principio consiste nell’idea di produrre, promuovere e condividere cultura a un pubblico il più possibile ampio».

Ha senso – penso al grave momento storico che stiamo vivendo – che un museo, per esempio, provi a riflettere sulla grave crisi mondiale, oppure deve avere un ruolo strettamente culturale?

«L’arte non può cambiare il mondo ma può offrire degli spunti altri, unici, per osservare e riflettere il presente. Nel caso specifico del MACRO, offrire spazio agli artisti senza filtri o censure, dare voce a figure dimenticate dalla storia o che si sono mosse fuori dagli spazi canonici, concepire delle mostre che non potrebbero essere realizzate in contesti commerciali è secondo me un gesto politico oltre che semplicemente culturale. Soprattutto quando questo viene fatto in forma gratuita».

Fra poco arriverà un tuo successore, ti auguri che possa continuare sul percorso che hai tracciato? In fondo, dal mio punto di vista, si tratta di una nuova metodologia di museo.

«Il primo auspicio sarebbe stato a monte, che la nuova direzione artistica fosse già decisa prima della fine del programma. Penso sia un peccato per il museo, e per il pubblico, che non ci sia stata la possibilità di un passaggio di consegne, come è normale che avvenga».

MACRO
MACRO, Musica da camera, Chamber Music

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