L’esistenza di una forte tradizione artistica ha impedito alla maggior parte degli artisti italiani della prima metà del Novecento di raggiungere risultati analoghi, preferendo invece lavorare sulle possibilità espressive delle tecniche consolidate. Solo i futuristi riuscirono a rompere con la tradizione, proponendo innovative teorie promulgate nei loro Manifesti della pittura e della scultura. Enrico Prampolini, nel corso degli anni Trenta, costituisce un raro esempio di apertura all’arte internazionale, avvicinandosi agli esiti astratti del movimento francese abstraction-creation. Le entità “bioplastiche”, come lo stesso Prampolini chiama alcune sue composizioni, sono realizzate con tecniche diverse, tempera, smalto, olio, talvolta misti a sabbia, che conferiscono alla materia un aspetto vario e mutevole, simile a un organismo in costante trasformazione (Astrazione biologica; Vita bioplastica, 1938; Sintesi di Taormina, 1939).
La buona conoscenza delle tecniche pittoriche tradizionali consente a Massimo Campigli di ottenere superfici opache e spente, simili ad affreschi, che ben si accordano con le arcaizzanti figure femminili rappresentate dall’artista, caratterizzate dai grandi occhi e dalle forme squadrate come nell’arte delle civiltà antiche (Testa di donna con collana, 1932; Dames aux colombiers, 1937). L’artista ottiene questo risultato stendendo la pittura ad olio su una tela molto assorbente, che annulla l’effetto di morbida lucentezza solito di questa tecnica pittorica.
E’ pittura ad olio anche quella adottata da Ennio Morlotti, artista in grado di competere per forza espressiva e modernità della sua pittura con i maggiori maestri europei suoi contemporanei (Paesaggio, 1940 c.; Fiori, 1959). La pasta colorata ad alto spessore, stesa quasi senza alcune diluizione, diventa materia da incidere e lavorare, da modellare con gesti rapidi e efficaci. La luce batte irregolarmente sulla superficie accidentata, esaltandone le variazioni cromatiche. La materia diventa quindi essa stessa soggetto del dipinto, scaturita dalla forza creativa dell’artista. Tuttavia, diversamente da altri maestri dell’informale, Morlotti non abbandonò mai l’arte figurativa, utilizzando le potenzialità del colore-materia per dar vita ad una particolare forma di naturalismo.
Intanto si recuperano tecniche e materiali antichi come la pietra e la terracotta, che ben si accordano alle forme essenziali e quasi “primitive” delle sculture di Arturo Martini e di Marino Marini (Marini, Testa di donna, 1936; Martini, Susanna, 1936; Le collegiali, 1927) , il bronzo, in grado assumere tonalità diverse a seconda delle patine usate (Martini, La chimera, 1934; Marini, Cavallino, 1934; Broggini, Bassorilevo, 1939), il gesso, che Manzù arricchisce di una delicato cromatismo che accentua il senso di verosimiglianza (Piccola testa d’uomo, 1932-1934 c.). Vari e in funzione delle diverse esigenze espressive risultano infine i materiali scelti da Antonietta Raphael Mafai, che passa dalle superfici ruvide della pietra al cromatismo del bronzo patinato, alla preziosità dell’onice del Brasile (Ritratto della Sig.ra Della Ragione, 1945 c.; Ritratto di Emilio Jesi, 1940).
[exibart]
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