E sarebbe?
Se esiste in Italia una struttura con le capacità di esportare la giovane arte nazionale all’estero.
Cosa risponderesti?
Che non ce ne sono. È lo storico problema dello Stivale. Gli artisti giovani che mi è capitato di conoscere credo abbiano tutti le qualità necessarie per essere apprezzati sul mercato internazionale.
Tutti? Addirittura?
Penso di sì. In Italia subiamo ancora il fascino dello straniero. L’arte italiana vive attualmente una grande contraddizione: un neorinascimento in atto destinato a implodere mentre valanghe di spazzatura provenienti da tutto il mondo riempiono gli stand delle fiere di casa nostra. Nel nostro Paese i sopravvalutati sono soprattutto quelli che vengono da fuori.
Guardando alcuni miei lavori fotografici ad Artefiera, Mimmo Iodice disse che gli parevano “molto umani”.
E non sei contento?
Mah, sinceramente faccio ancora difficoltà a comprendere cosa volesse dire.
Chi ha letto correttamente ciò che fai?
Anita Pepe ed Eugenio Viola.
Cosa preferisci: azzardare una definizione per il tuo lavoro o dichiarare punti di riferimento?
Le definizioni le trovino gli altri. Le influenze sono pronto a dichiararle: Gino De Dominicis, Pino Pascali, Piero Manzoni, Jeff Koons, John Currin, Klaus Nomi, Ugo Rondinone.
Come hai cominciato?
Ricordi quei libri per bambini con le immagini da colorare? Una volta sbagliai e uscii fuori dai bordi. Per rimediare pensai di modificare la figura: ne venne fuori qualcosa che era meglio dell’originale. Così ricreai secondo la mia fantasia tutte le immagini contenute nel libro. Da qui, si può dire, è iniziato il mio percorso artistico. Iniziato, dunque, da molto lontano, dall’amore per il disegno, per il colore.
C’è Napoli nel tuo lavoro?
In un certo senso. Vivere a Napoli non è semplice. Ma è anche una città molto stimolante, il che inevitabilmente influenza il lavoro conferendogli quel tono sempre un po’ arrabbiato.
La fuga al secondo anno dall’Istituto d’arte Filippo Palazzi di Napoli, l’aver frequentato strada e poi l’Accademia.
E una mostra da ricordare?
La travagliata collettiva Arte e Omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles, promossa da Sgarbi e curata da Eugenio Viola a Firenze.
Chi ti ha aiutato finora?
Tante persone. Prima di tutti mia moglie Conni, che ringrazio per il ruolo di supervisore e per i preziosi consigli. Poi il mio gallerista Guido Cabib, grazie al quale vedo realizzati i miei progetti. Aggiungo Adriana Rispoli, Anita Pepe, Marco Izzolino, Eugenio Viola, Gennaro Navarra. E Stefano Sciarretta, che è stato il primo collezionista ad acquistare un mio lavoro.
Pregi e difetti che ti riconosci o che ti attribuiscono?
Ho il pregio di saper aspettare e il difetto di aspettare troppo.
Intanto l’hai trovato uno studio?
Sì. È molto scuro, se alzi la testa vedi la luce del sole a strisce. Vi domina un puzzo di feci ed è molto umido. È diviso da cunicoli molto lunghi. È sempre fresco, ti fa perdere la cognizione del tempo e ogni tanto si sente un verso del tipo “squit squit”. Nessuno vuol venire a trovarmi, soprattutto i ricchi collezionisti. Io invece ci sto bene, mi ci sono abituato. Sarà che non pago l’affitto.
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exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 46. Te l’eri perso? Abbonati!
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