Categorie: Personaggi

ExibInterviste ai direttori: | LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI

di - 17 Aprile 2001

Qual è, per lei, lo scopo di una rivista d’arte cartacea?

In primo luogo offrire il panorama più ampio e articolato possibile dell’arte contemporanea. Con un taglio agile e snello raggiungere anche un pubblico di non addetti ai lavori, molti dei quali sebbene affascinati e attratti dall’arte, faticano a seguirla perché intimoriti da un linguaggio troppo tecnico e specialistico. Quando nel 1988, assieme a Giancarlo Calcagni, direttore responsabile di Arte in, fondammo la testata era proprio su questo punto che desiderammo scommettere: togliere l’arte dal piedistallo, renderla alla portata di tutti, far capire che appartiene alla vita di ogni giorno. Un’opera non si dà solo nel capolavoro, potrebbe manifestarsi pure in una pubblicità ben riuscita, in una fotografia, perfino in un bicchiere.

Come vede il panorama attuale delle riviste italiane e internazionali dedicate all’arte?

Con malinconia, rabbia e rimpianto. Mi spiego: la malinconia e il rimpianto si riferiscono alle grandi riviste d’arte del passato che hanno fatto la storia. Il panorama attuale è desolante. C’è molta omologazione, diverse testate si equivalgono, fino a diventare intercambiabili e superflue. Trovo inammissibile che una rivista abbia perso il senso dell’utilità della critica, prendendo in giro i lettori con recensioni nelle quali si trova scritto che qualsiasi artista e qualsivoglia mostra siano originali e brillanti. Da qui la rabbia. Visto che il nostro mestiere non viene prescritto dal medico, abbiamo il dovere di offrire opinioni per lo meno oneste e sincere.
Quanto alle testate internazionali, seguo puntualmente quelle statunitensi, inglesi, francesi, tedesche, spagnole e sudamericane. Si tratta di letture a volte molto stimolanti, come per esempio la colombiana “Art nexus”. Altre demoralizzanti, come nel caso di “Art forum”, troppo Celant-dipendente per riuscire a dire qualcosa di nuovo. Penso che oggi, nell’era della globalizzazione totale, ulteriormente ampliata da internet, l’arte vada cercata altrove. Mi riferisco a realtà socio-culturali meno note, lontane dai consueti luoghi dove si svolgono i giochi di potere.

A quale target si rivolge con la sua pubblicazione?

Mi considero soddisfatta quando vedo una copia di Arte in sulla scrivania dei docenti universitari come nei saloni dei parrucchieri. Mi fa molto piacere quando constato che sta sempre più aumentando l’attenzione dei giovani artisti, studenti d’accademia e delle facoltà di storia dell’arte. Le loro richieste, lettere, inviti a presenziare a dibattiti forse vogliono dire che siamo riusciti a instaurare un dialogo con il futuro.

Che cosa vuole comunicare con la rivista che dirige?

Che si può incontrare l’arte dappertutto e che per riconoscerla occorrono sguardi spregiudicati, nel senso etimologico del termine. Imparare a guardare senza pregiudizi significa educarsi al riconoscimento dei falsi miti. Compresi quelli di una pseudo-contemporaneità affannata o illusa nella ricerca di un nuovo che spesso si rivela epigono di scarsa qualità dai contenuti effimeri, legati a mode del momento.

Il servizio che ricorda più felicemente.

Come condirettore della rivista, quando la pubblicazione di un articolo che denunciava un giro di falsi Depero ha stimolato la magistratura svolgere le indagini. Da giornalista, l’intervista a Leoluca Orlando sui rapporti tra arte e mafia. Ricordo la paura che provavo nel corso di quell’incontro avvenuto in un albergo nei pressi di Venezia, circondati da guardie del corpo con tanto di mitra sotto i giubbotti. Pensavo: “hai visto mai che qualcuno si sogni di compiere un attentato proprio adesso?”. In ogni caso, mi stupiscono sempre gli apprezzamenti che mi rivolgono persona sconosciute. Quando qualcuno riporta quasi a memoria mie frasi che nel frattempo avevo dimenticate, mi viene da chiedere: “ma davvero le ho scritte io?”.

Quello che ha creato più scalpore o problemi.

La mia intervista a Bettino Craxi, quando era esule ad Hammammeth, in occasione della sua personale in una galleria romana. A me pareva un evento eclatante, e indipendentemente dall’opinione politica e artistica che uno personalmente potesse avere su di lui, reputavo doveroso informare i lettori. Ho dovuto constatare che molti leggono con superficialità, arrivando a ritenere quel servizio un appoggio allo statista in esilio. Erano anni in cui Craxi fungeva da capro espiatorio di tutti i mali della politica italiana. A me indispettiva constatare quante fra quelle persone che ne avevano in passato ricevuto i favori, erano poi state pronte a scagliarsi contro una volta caduto in disgrazia. Quell’articolo aveva solo la funzione di informare su un evento e di lasciare libero il lettore di formarsi la sua opinione


Che problematiche incontra nella realizzazione della rivista.

Più che di problematiche, parlerei di stimoli. È affascinante inseguire quanto di nuovo l’arte stia producendo sotto i nostri occhi, scegliere gli argomenti che possano interessare maggiormente i lettori, affidarne la stesura alle persone più qualificate. Sorvolo sui problemi pratici tipici di ogni redazione, dall’editing alla caccia al titolo più efficace, al controllo della qualità della stampa.

Quali soddisfazioni?

La soddisfazione maggiore è quando qualcuno mi dice che, dopo aver letto un articolo su “Arte in”, ha preso un treno o un aereo e è andato a visitare apposta la mostra recensita. In altri termini, la soddisfazione sta nell’essere riusciti a instaurare un dialogo con il lettore, sapere che ciò che si fa lascia una traccia negli altri.

Chi vorrebbe tra i suoi collaboratori?

Filosofi, sociologi, letterati, giornalisti e pochi critici d’arte. Oggi più che mai la comprensione dell’arte implica conoscenze di altre discipline, in grado di offrire aperture mentali e tagli interpretativi al di là dello sterile, tecnicistico, spesso angusto linguaggio critico. Viviamo in un’epoca di slittamenti e commistioni fra le arti: come si può pretendere di comprendere questa contemporaneità così complessa con la vecchia preparazione, prettamente settorialistica, del critico?

Chi non vorrebbe?

Non voglio i raccomandati, i presuntuosi, gli incompetenti e i vanesi. Purtroppo il mondo dell’arte e delle redazioni delle pubblicazioni d’arte è assediato da questo tipo di persone. Ho verificato nella mia lunga esperienza che, oltretutto, chi vale meno pretende di più: maggior attenzione, denaro, intolleranza all’editing.

Rimpianti?

Si rimpiange ciò che non si è fatto o avuto, si prova rimorso per gli errori compiuti. Dunque il rimpianto nasce da una non azione, il rimorso da un’azione sbagliata. Fortunatamente, tutti noi cresciamo attraverso gli errori.

Il futuro on-line?

La rete è un ottimo strumento di comunicazione, dalle potenzialità non ancora totalmente espresse. Il problema non è nel mezzo, ma nel suo uso. Quando la comunicazione mediatica ha il sopravvento su quella fisica, fatta di incontri reali fra persone, diventa alienante, pericolosa e paradossalmente, arriva a tradire il suo scopo. Per assurdo, nell’epoca della comunicazione totale, le persone comunicano fra loro, sempre meno direttamente. Un dialogo è fatto non solo di parole, ma di sguardi, sorrisi, odori, che la solitudine e l’asetticità di un video non sono in grado di restituire. Dall’altro lato è meraviglioso, sorprendente, stimolante l’idea che si possa comunicare in qualsiasi parte del globo con facilità e rapidità. Sono perplessa sull’efficacia e la profondità di questo tipo di comunicazione.



Silvio Saura è critico d’arte e collabora con diverse testate, curatore di mostre d’arte contemporanea, vive e lavora a Venezia.


[exibart]

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  • Gentile signora Salvemini,
    mi dispiace aver letto ciò che ha scritto in risposta a Biz, che come
    gli altri, aveva solo espresso la sua opinione. Quel che non mi è piaciuto è il tono della sua risposta che andava a colpire la persona,(mostruoso, ridicolo, psicolabile, ecc.), ma forse voleva in questo modo controbattere alle accuse di buonismo. Mi dispiace perché lei accusa una persona di non saper leggere quando invece è lei a non aver capito che Biz è il soprannome e Panacea il titolo del suo messaggio: comunque sono cose che possono capitare,specialmente quando,
    ci si vuole difendere da ciò che si reputa
    un’offesa. Su alcune argomentazioni sono d’accordo con Biz, ma capisco anche
    il suo tentativo di voler divulgare l’arte: quando un temperamento generoso scopre una cosa bella vorrebbe condividerla con tutti,
    vorrebbe che un gran numero di persone la potesse apprezzare e ne partecipasse insieme a lui: un po’ come Prometeo con il fuoco. Nello stesso tempo l’ambivalenza della divulgazione sta nel fatto che per arrivare ad un gran numero di persone bisogna parlare di qualcosa che conoscono almeno un po’, (più tardi poi si arriverà a quel qualcosa di nuovo e fuori dalle mode e dalle tendenze;quasi come una grande galleria del passato è arrivata a Morandi, commerciando pittori di cui ora non si sa più il nome) ecco allora viene fuori Botero , invece di altri, che hanno ugualmente lavorato e duramente, mettendosi in gioco ogni volta, senza cambiare mai mestiere, essendo esso la loro ragione di vita, perché a parlare di questi si rischia di non esser capiti o di non avere un pubblico, ( per certi aspetti , osava di più la Grazia degli anni ‘60-’70 quando teneva la rubrica «I Maestri di domani»). Certo, la mediazione è un’arte difficile, ancora di più quando si deve tradurre sul delicato territorio dell’espressione artistica, territorio di idea e di emozione e ancora di più adesso: appunto negli anni ’60 ’70 c’era più “pubblico”, chi faticava per comprarsi un quadro o una scultura, perché gli piaceva e riusciva a leggere anche opere che adesso sono i “critici” o i giornalisti a voler spiegare, ora si fanno gli investimenti. Però, se è vero quanto afferma nell’intervista, spero che usi quell’umiltà e coscienza che si attribuisce per rivedere i toni della sua risposta.
    Per il resto buon coraggioso lavoro.

  • Cara Signora Lorella Vattelapesca...
    AL momento, vista l'ora tarda, non ho tempo per rispondere dettagliatamente ai tuoi deliri di onnipotenza.
    Ma non posso esimermi dal farti considerare che ti è "sfuggito", giusto per usare un eufemismo, che "Panacea" non è un nome di persona o uno pseudonimo, bensì un "luogo".
    Ma non mi meraviglia affatto che non lo sapevi.
    Questo, rispetto al resto che hai dimostrato di non sapere, è quasi irrilevante.
    A presto.
    Biz

  • Adesso basta. Davide ha ragione: troppe chiacchiere, dovremmo essere qui per parlare d'arte. Paolo Farina di Milano - Biz Panacea - ha portato il discorso sul piano di una antipatia personale, offendendo anche chi ci ospita e facendo scadere notevolmente il livello del dibattito. Cari amici, non cadiamo nella sua rete.
    Il web vissuto a suo modo assomiglia a una subdola festa di carnevale dove, protetto dall'anonimato garantito dalla maschera, qualcuno crede di potersi permettere tutto. Tutto il peggio. Ora ha finalmente dichiarato nome, cognome e città: Milano, non più Panacea. Io avevo il piacere di conoscere Panarea. Il fatto che comunque finora si fosse firmato nell'altro modo suggerisce inevitabilmente un processo di identificazione, nemmeno poi tanto inconscio, con quanto il termine prescelto significa.
    Ringrazio Francesco per aver trovato la copertina interessante, Fabri per condividere l'intervista a Plessi e Massimiliano Tonelli, direttore di Exibart, per far sentire la sua voce e la sua autorità.

  • Signora Lorella,
    Parlare d’Arte…. Ci abbiamo provato!!, anche in questa tua intervista si cercava di parlare d’Arte. Ma non ci siamo riusciti.
    Abbiamo provato ad esprimere le nostre perplessità in merito alla quasi totalità delle tue affermazioni sull’arte….
    Ma non siamo riusciti a trovare l’arte nelle tue risposte alle mie critiche di merito.
    Ciò che penso della tua intervista l’ho già espresso, e sebbene ti possa apparire un attacco personale, devo deluderti, ma così non è stato.
    Le mie critiche sono state molto circostanziate nel “merito” delle tue affermazioni, sarebbe sufficiente rileggere il mio primo intervento.
    Alle mie critiche rispondi consigliando di “non cadere nella mia rete”.
    Mio Dio, che tristezza!
    Se rispondi con questa superbia alle critiche, se rifiuti di metterti in discussione, se non vuoi che anche altri usino il cervello di cui la Natura li ha dotati, beh… allora resta pure dietro la patina plastificata della tua rivista, attraverso la quale potrai parlare da un pulpito che non ammette risposte, attraverso la tua indiscutibile autorità e superiorità a cui tutti si debbono piegare. Arte compresa.
    Forse ti aspettavi un’apoteosi di consensi o l’ossequio a cui sei abituata per il solo fatto che sei direttrice di una rivista d’arte.
    E’ meschino costatare come da parte tua chi non condivide le tue idee viene considerato subdolo, psicolabile ed espressione di chissà quale carnevale.
    E ti esprimi con esclamazioni autoritarie del tipo “Adesso basta”, oppure mi rispondi dicendo che “nessuno mi ha obbligato a parlare”
    Tutto questo non ha nulla di artistico.
    Lo avevo colto fin dall’inizio, ma ora tutti hanno letto ciò che hai scritto.
    Ubi maior, minor cessat.
    Ciao, Biz.

  • A me questo BIZ sta un sacco simpatico!!
    E' un ragazzo in gamba e io, se fossi nei panni della signora direttrice lo assumerei subito...

  • Cara direttrice,
    condivido la delusione di Anna Lavagnino e sottoscrivo quello che ha detto Biz. Il tono della sua risposta a Biz fa proprio cadere le braccia. E' vero che egli ha distrutto spietatamente la sua intervista. Ma lei, invece di difendere le sue posizioni e smentirlo con argomentazioni più convincenti, ha preferito distruggere la persona.
    Questo non solo è scorretto, ma è anche controproducente dal momento che pretende di appoggiarsi a "postulati" psicanalitici che possono benissimo essere ritorti contro di lei. Se "in genere", come sostiene, le accuse che si rivolgono agli altri "corrispondono a quanto non si vuole vedere in se stessi", non crede che sulla base della sua risposta potremmo vedere in lei: presunzione, arroganza e megalomania? Penso inoltre che prima di usare aggettivi come “mostruoso” e “psicolabile” dovrebbe riflettere un po’.
    Quanto ai processi di identificazione, consci o inconsci , quali ambiguità dovremmo mai attribuirle quando dice "come Oscar Wilde, so bene...."?.
    La mia impressione è che lei sia abituata a consenzienti ipse dixit e non tolleri il contraddittorio.
    Se il livello della discussione qui si è abbassato credo sia proprio colpa sua. Non pretenda di salire in cattedra per il fatto di dirigere una rivista e veda di essere più democratica.
    Saluti

  • Gentile Signora,
    ho riletto alcuni degli interventi e, tra gli altri, in quello del Signor Paolo Barnabei si accenna ad un articolo della sua testata nel quale si parlava di questioni di mercato. Quell'articolo mi è sfuggito e vorrei sapere se in esso venisse trattata anche la questione del mercato delle autentiche. Se no, che ne pensa al riguardo?

  • Dopo questi ultimi interventi, come si sentirà la direttrice che tante cose sa “come Oscar Wilde”? La risposta ce la offre lo stesso Wilde.
    “… il signor Bunbury è morto questo pomeriggio”, dice Algernon in ‘The importance of being Ernest’.
    “Di che cosa è morto?” chiede la zia Augusta.
    “Bunbury? – risponde Algernon – Oh, è stato completamente demolito”.
    Povera superba direttrice!!!

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