17 aprile 2001

ExibInterviste ai direttori: LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI

 
di Silvio Saura


Dopo l’eccezionale successo della prima puntata con Giancarlo Politi, continua il progetto di interviste a tutti i direttori delle testate d’arte cartacee. Risponderà alle domande di Exibart Lorella Pagnucco Salvemini, condirettore di ArteIn. Il progetto, che proseguirà nelle prossime settimane, è curato da Silvio Saura...

di

Qual è, per lei, lo scopo di una rivista d’arte cartacea?

In primo luogo offrire il panorama più ampio e articolato possibile dell’arte contemporanea. Con un taglio agile e snello raggiungere anche un pubblico di non addetti ai lavori, molti dei quali sebbene affascinati e attratti dall’arte, faticano a seguirla perché intimoriti da un linguaggio troppo tecnico e specialistico. Quando nel 1988, assieme a Giancarlo Calcagni, direttore responsabile di Arte in, fondammo la testata era proprio su questo punto che desiderammo scommettere: togliere l’arte dal piedistallo, renderla alla portata di tutti, far capire che appartiene alla vita di ogni giorno. Un’opera non si dà solo nel capolavoro, potrebbe manifestarsi pure in una pubblicità ben riuscita, in una fotografia, perfino in un bicchiere.

Come vede il panorama attuale delle riviste italiane e internazionali dedicate all’arte?

Con malinconia, rabbia e rimpianto. Mi spiego: la malinconia e il rimpianto si riferiscono alle grandi riviste d’arte del passato che hanno fatto la storia. Il panorama attuale è desolante. C’è molta omologazione, diverse testate si equivalgono, fino a diventare intercambiabili e superflue. Trovo inammissibile che una rivista abbia perso il senso dell’utilità della critica, prendendo in giro i lettori con recensioni nelle quali si trova scritto che qualsiasi artista e qualsivoglia mostra siano originali e brillanti. Da qui la rabbia. Visto che il nostro mestiere non viene prescritto dal medico, abbiamo il dovere di offrire opinioni per lo meno oneste e sincere.
Quanto alle testate internazionali, seguo puntualmente quelle statunitensi, inglesi, francesi, tedesche, spagnole e sudamericane. Si tratta di letture a volte molto stimolanti, come per esempio la colombiana “Art nexus”. Altre demoralizzanti, come nel caso di “Art forum”, troppo Celant-dipendente per riuscire a dire qualcosa di nuovo. Penso che oggi, nell’era della globalizzazione totale, ulteriormente ampliata da internet, l’arte vada cercata altrove. Mi riferisco a realtà socio-culturali meno note, lontane dai consueti luoghi dove si svolgono i giochi di potere.

A quale target si rivolge con la sua pubblicazione?

Mi considero soddisfatta quando vedo una copia di Arte in sulla scrivania dei docenti universitari come nei saloni dei parrucchieri. Mi fa molto piacere quando constato che sta sempre più aumentando l’attenzione dei giovani artisti, studenti d’accademia e delle facoltà di storia dell’arte. Le loro richieste, lettere, inviti a presenziare a dibattiti forse vogliono dire che siamo riusciti a instaurare un dialogo con il futuro.

Che cosa vuole comunicare con la rivista che dirige?

Che si può incontrare l’arte dappertutto e che per riconoscerla occorrono sguardi spregiudicati, nel senso etimologico del termine. Imparare a guardare senza pregiudizi significa educarsi al riconoscimento dei falsi miti. Compresi quelli di una pseudo-contemporaneità affannata o illusa nella ricerca di un nuovo che spesso si rivela epigono di scarsa qualità dai contenuti effimeri, legati a mode del momento.

Il servizio che ricorda più felicemente.

Come condirettore della rivista, quando la pubblicazione di un articolo che denunciava un giro di falsi Depero ha stimolato la magistratura svolgere le indagini. Da giornalista, l’intervista a Leoluca Orlando sui rapporti tra arte e mafia. Ricordo la paura che provavo nel corso di quell’incontro avvenuto in un albergo nei pressi di Venezia, circondati da guardie del corpo con tanto di mitra sotto i giubbotti. Pensavo: “hai visto mai che qualcuno si sogni di compiere un attentato proprio adesso?”. In ogni caso, mi stupiscono sempre gli apprezzamenti che mi rivolgono persona sconosciute. Quando qualcuno riporta quasi a memoria mie frasi che nel frattempo avevo dimenticate, mi viene da chiedere: “ma davvero le ho scritte io?”.

Quello che ha creato più scalpore o problemi.

La mia intervista a Bettino Craxi, quando era esule ad Hammammeth, in occasione della sua personale in una galleria romana. A me pareva un evento eclatante, e indipendentemente dall’opinione politica e artistica che uno personalmente potesse avere su di lui, reputavo doveroso informare i lettori. Ho dovuto constatare che molti leggono con superficialità, arrivando a ritenere quel servizio un appoggio allo statista in esilio. Erano anni in cui Craxi fungeva da capro espiatorio di tutti i mali della politica italiana. A me indispettiva constatare quante fra quelle persone che ne avevano in passato ricevuto i favori, erano poi state pronte a scagliarsi contro una volta caduto in disgrazia. Quell’articolo aveva solo la funzione di informare su un evento e di lasciare libero il lettore di formarsi la sua opinione


Che problematiche incontra nella realizzazione della rivista.

Più che di problematiche, parlerei di stimoli. È affascinante inseguire quanto di nuovo l’arte stia producendo sotto i nostri occhi, scegliere gli argomenti che possano interessare maggiormente i lettori, affidarne la stesura alle persone più qualificate. Sorvolo sui problemi pratici tipici di ogni redazione, dall’editing alla caccia al titolo più efficace, al controllo della qualità della stampa.

Quali soddisfazioni?

La soddisfazione maggiore è quando qualcuno mi dice che, dopo aver letto un articolo su “Arte in”, ha preso un treno o un aereo e è andato a visitare apposta la mostra recensita. In altri termini, la soddisfazione sta nell’essere riusciti a instaurare un dialogo con il lettore, sapere che ciò che si fa lascia una traccia negli altri.

Chi vorrebbe tra i suoi collaboratori?

Filosofi, sociologi, letterati, giornalisti e pochi critici d’arte. Oggi più che mai la comprensione dell’arte implica conoscenze di altre discipline, in grado di offrire aperture mentali e tagli interpretativi al di là dello sterile, tecnicistico, spesso angusto linguaggio critico. Viviamo in un’epoca di slittamenti e commistioni fra le arti: come si può pretendere di comprendere questa contemporaneità così complessa con la vecchia preparazione, prettamente settorialistica, del critico?

Chi non vorrebbe?

Non voglio i raccomandati, i presuntuosi, gli incompetenti e i vanesi. Purtroppo il mondo dell’arte e delle redazioni delle pubblicazioni d’arte è assediato da questo tipo di persone. Ho verificato nella mia lunga esperienza che, oltretutto, chi vale meno pretende di più: maggior attenzione, denaro, intolleranza all’editing.ArteIn, aprile-maggio

Rimpianti?

Si rimpiange ciò che non si è fatto o avuto, si prova rimorso per gli errori compiuti. Dunque il rimpianto nasce da una non azione, il rimorso da un’azione sbagliata. Fortunatamente, tutti noi cresciamo attraverso gli errori.

Il futuro on-line?

La rete è un ottimo strumento di comunicazione, dalle potenzialità non ancora totalmente espresse. Il problema non è nel mezzo, ma nel suo uso. Quando la comunicazione mediatica ha il sopravvento su quella fisica, fatta di incontri reali fra persone, diventa alienante, pericolosa e paradossalmente, arriva a tradire il suo scopo. Per assurdo, nell’epoca della comunicazione totale, le persone comunicano fra loro, sempre meno direttamente. Un dialogo è fatto non solo di parole, ma di sguardi, sorrisi, odori, che la solitudine e l’asetticità di un video non sono in grado di restituire. Dall’altro lato è meraviglioso, sorprendente, stimolante l’idea che si possa comunicare in qualsiasi parte del globo con facilità e rapidità. Sono perplessa sull’efficacia e la profondità di questo tipo di comunicazione.



Silvio Saura è critico d’arte e collabora con diverse testate, curatore di mostre d’arte contemporanea, vive e lavora a Venezia.


[exibart]

33 Commenti

  1. Compro da sempre Arte In in edicola. E credo che sia in miglioramento anche grazie alla nuova grafica. Peccato per le copertine che rappresentano sempre un artista calvo o con capelli bianchi. Questo non giova!

  2. Ancora una volta si additano negativamente i critici. Ma siamo proprio sicuri che solo i critici abbiano una preparazione così settorialistica? Perché non dovrebbero averla, nella stessa misura, filosofi ecc.? L’arte è una disciplina così scontata che tutti sarebbero in grado di fare critica, mentre sarebbe azzardato immaginare un critico che si occupi di filosofia, ecc.? Ad ognuno il suo mestiere, dico io. Invece gli artisti invocano l’autonomia per allestire da sè le mostre e fare a meno dei critici anche per la critica. Lo stesso fanno i direttori dei giornali… Ma poi siamo così sicuri che, storicamente, la critica si sia limitata a leggere l’arte senza considerare i coinvolgimenti con le attività umane quotidiane? Anzi! Credo che non da ora, ma fin dalla classicità spiegare l’arte sia stato sempre il frutto di una ricerca svolta nell’ambito della società e della quotidianità nelle quali l’arte si è sviluppata. Ma d’altro canto: come si può pensare di prescindere dalla vita stessa (e quindi non solo dalla storia, dalla filosofia e dalla scienza) pensando all’arte che è della vita la vera cartina tornasole? Che poi si voglia dire che esistono buoni critici e cattivi critici beh, in questo caso siamo pienamente d’accordo.

  3. Condivido la nostalgia per i vecchi periodici e per il loro taglio critico. Ricordo anche riviste di formati enormi con foto quasi a grandezza naturale, oppure altre prive di foto ma con i contributo di personaggi illuminati della cultura italiana e straniera. Ma scusi direttore, lei invoca la critica e poi, due righe sotto, la vuol far fare a critici improvvisati?

  4. Non ho capito la critica alla comunicazione sul web. Mi pare di sentire quelli che sosengono che internet ha segnato la fine del libro o della televisione, ecc., ora anche dei rapporti sociali. Io credo che ormai dovremo renderci consapevoli che internet non è un sostituo di qualcosa d’altro, ma uno strumento in più di conoscenza che abbiamo a disposizione. Così come Exibart e simili non sostituiranno mai la rivista cartacea d’arte (ha forse perso lettori con il boom di internet Arte In?), allo stesso modo internet, le chat, i forum ecc. non fanno concorrenza (se non nelle manìe di qualche tecnofilo esasperato) al dialogo ed alla comunicazione tra gli uomini. Semmai stimolano a confrontarsi, a conoscersi, come nel caso di questo spazio. Quanto ai sorrisi o altro, se fosse solo per questo ci sono pure le web cam.

  5. Lei dice:Come si può comprendere questa contemporaneità complessa con la vecchia preparazione? Infatti la contemporaneità non è capita da molti, specialmente nell’arte restano legati alla vecchia preparazione e ostacolano i cambiamenti per timore di essere superati,non cmprendono che lo spirito si rinnova e vuole respiro. La ringrazio delle sue parole.

  6. Confrontare e confrontarsi, andare avanti, tornare indietro, stampare, meditare e poi intervenire… La funzione del Web sembra insostituibile e ognuno la utilizza come vuole, come può. E’ possibile vivere bene senza mai navigare su Internet, è possibile vivere meglio utilizzando Internet come strumento di corretta comunicazione fra persone che già si conoscono o come primo approccio di due sconosciuti. In quale altra sede avrebbe avuto la stessa efficacia un’iniziativa come le ExibInterviste? Il confronto, sia pure indiretto, fra direttori di riviste cartacee (alle quali la cultura non potrà mai rinunciare senza perdere in qualità umana) appare stimolante. Anche la struttura data da Saura all’intervista risulta apprezzabile: le domande sono giuste, pertinenti, e consentono all’intervistato di esprimere finalità e punti di vista che riassumono percorsi, esperienze di vita e risultati. Tuttavia, l’analisi delle prime due interviste induce a credere che sarebbe stato meglio fare un piccolo sforzo in più per diversificare le domande, adattandole alla personalità dell’interlocutore. Le risposte di Lorella P.S. mi sembrano molto meditate e dense di contenuti. Toccano poi un argomento scottante quando affrontano il tema della “utilità della critica”. Non ho gli strumenti tecnici per poter intervenire su tale problematica; ho invece due esperienze che si commentano da sole: 1) Sono stato ricevuto da una critica professionista che sta curando la riedizione di un testo fondamentale per la storia dell’arte contemporanea: trenta minuti di colloquio disinteressato e illuminante. Della funzione critica non si può fare a meno. 2) Qualche giorno fa ho avuto il catalogo di una mostra: galleria rispettabile, artista discreto, testo critico incomprensibile. Incomprensibile nel senso che non si comprende come si possa continuare a credere che la gente si lasci condizionare da aggettivi ridicoli, luoghi comuni, valutazioni arbitrarie e linguaggio involuto. Bisogna dunque chiedersi a chi ed a cosa servano le alchimie della critica d’arte. GIANCARLO POLITI: Con buona pace di chi non ama i calvi (vedi commenti a Lorella P.S.) la foto del calvo Politi giova più di quella di una top model perché esprime (quanto le sue risposte) la personalità del direttore di Flash Art. Risposte immediate, sintetiche, fin troppo sicure e certamente poco rassicuranti per chi non ha ancora capito che oggi il fare arte è divenuto una sfrenata competizione, che non sempre premia i migliori. Purtroppo, ha ragione lui anche quando (suoi interventi del 13 e 20 aprile) ci mette di fronte alla nostra modesta misura: l’arte contemporanea si fa a New York, non a Firenze, con tutto ciò che implica l’americanizzazione di tale concetto: consumismo sfrenato, che può produrre geni indiscutibili o mostruosità artistiche vendutissime come quelle di Kinkade. Il rischio, caro Politi, è che si arrivi al traguardo con qualche rimpianto: saziarsi senza gustare, essere senza essere stato.

  7. Parliamoci chiaro: quest’intervista è semplicemente disgustosa.
    E’ così mielosa e buonista, così ricca di “buoni valori” da oltrepassare i limiti dell’ovvio fino a raggiungere, appiccicaticcia come una carta moschicida, la nausea. Senza più distaccarsene fino alla fine.
    Unica nota decente, anzi, davvero illuminata, è la presenza del Signor Saura che pone alla condirettrice domande che la condirettrice ha dimostrato di non comprendere. Domande sagaci, che conoscevano già la risposta.
    Il Signor Saura ha posto delle domande che solo in apparenza hanno dell’oggettivo, ma che celano la ricerca di qualcosa di ben più profondo delle ovvietà patinate di plastificata saggezza che troviamo in quelle risposte così ricche di ricerca di consensi, di piacere a tutti i costi, d’essere tanto controcorrente da fare il giro e percorrere quindi la corrente che essa stessa deplora. Ricerca di consensi forse proprio da parte dei critici. I quali non si sentiranno offesi di essere emarginati da chi trova l’arte in “un” bicchiere, nei saloni di parrucchiera o sulle scrivanie di docenti universitari, che spesso sono essi stessi critici.
    “Raggiungere un pubblico anche di non addetti ai lavori”: Esiste un’ovvietà più disarmante di questa?
    Mi chiedo poi cosa ci trovi d’artistico “nella vita di tutti i giorni”. La prego di non darmi la risposta.
    Inoltre si contraddice quando auspica che i suoi collaboratori siano filosofi, letterati e quant’altro…. Ma si crogiola nel sublime piacere di costatare che la sua rivista è sempre più letta dagli studenti di facoltà di storia dell’arte, che in genere produce critici d’arte.
    Se è vero che l’estetica è una dottrina filosofica, è anche vero che i filosofi si formano attraverso altri studi.
    Si lamenta della globalizzazione totale… e poi ci sciorina un concetto del tipo “l’arte è dappertutto”, sostenendo che l’arte va cercata altrove. Fuori dei luoghi comuni, come per esempio i saloni di bellezza e le aule universitarie?
    Ma la coerenza intellettuale dove sta?
    E’ comprensibile, quindi, che si domandi spesso “ma queste parole le ho proprio scritte io?”
    Non manca poi l’esperienza eroica per la paura di un attentato mafioso mentre intervista Leoluca Orlando, a Venezia, notare bene. Tra mafia e mitragliatrici, espressione d’arte quotidiana.
    Ma il massimo lo raggiungiamo quando è la rivista che “sceglie gli argomenti che possano interessare di più i lettori”. Sinceramente preferirei una rivista che espone tout-court gli argomenti nuovi che l’arte propone, giacché non credo debba essere il lettore ad educare l’Arte, ma viceversa.
    Il nostro scaltro intervistatore, cui erigerei un monumento per il suo acume meraviglioso, ci presenta quindi la domanda: chi non vorrebbe nella sua redazione?
    V’invito a rileggere la risposta, è un postulato.
    Ma, quando pensavamo che fosse terminato, finalmente, l’orrore cui siamo stati costretti fin’ora… ecco che arriva “ l’alienazione della comunicazione mediatica della rete che ha il sopravvento su quella fisica, fatta d’incontri”. Mi scusi, Signora, ma che tipo di comunicazione è quella di una rivista se non “mediatica”?
    Lei incontra abitualmente “tutti” i suoi lettori?
    Certamente, l’assicuro, è molto meno avvilente il mezzo che sto usando ora per intervenire sulla sua intervista, quasi in tempo reale, che una lettera o una telefonata che lei non pubblicherà mai.
    Quella è asetticità, quella è alienazione. L’alienazione di “subire” una rivista statica che esalta se stessa, mentre la rete, questa rete, mi permette di “farla” la rivista, giorno per giorno.
    La invito, cara Signora, ad osare di più.
    La invito ad uscire dalla patina dell’ovvietà e l’assicuro sul fatto che l’Arte NON sta dappertutto, che l’arte è completamente avulsa dalla sfera della morale. Una morale di cui la sua intervista è pregna.
    La prego di scusarmi se non ho detto completamente quello che penso.
    Arrivederci. Biz.

  8. Cominciamo con Carla che non capisce la critica alla comunicazione web. Non comprendi perché, forse, fraintendi. Non penso, né tantomeno ho scritto, che internet segnerà la fine dei libri , neppure che “Arte in” ha perso per questo dei lettori, i quali, per inciso, invece aumentano. Mi preoccupa – lo ribadisco – l’uso del mezzo solo quando diventa sostitutivo dei rapporti umani diretti, quando si trasforma in illusione di comunicazione, in specchio di una incapacità di superare fisicamente la propria solitudine.
    Ritengo che Roberto abbia ragione a dire che in nessun’altra sede le iniziative di Silvio Saura con Exibinterviste sarebbero risultate più efficaci. Merito, certo, delle sue domande, ma anche della rapidità di intervento e partecipazione dei lettori consentita dalla rete. L’ho già affermato pubblicamente, in una tavola rotonda tenutasi a Milano lo scorso 10 aprile, a cui presenziava pure Giovanni Sighele, editore di Exibart: noi giornalisti della carta stampata, il cui compito è comunicare, dovremmo avere l’umiltà di voler apprendere da chi riesce a farlo.
    Il problema si complica quando la semplice comunicazione diventa informazione e critica. (Rispondo a Fabio, E.A.Po, Maria e ancora a Roberto). Il giornalismo d’arte implica un doppio apprendimento: il mestiere giornalistico e le conoscenze storico-artistiche, in assenza delle quali o si fallisce nel linguaggio o nei contenuti. Ad “Arte in” siamo in questo, e per rispetto del lettore, piuttosto severi: non facciamo scrivere critici improvvisati, artisti privi di competenze ed esperienze di scrittura critica, e nemmeno quella lunga e folta schiera di critici arroganti e presuntuosi, che si esprimono in “critichese”, che pensano che a “scrivere in maniera difficile” si appaia più colti e intelligenti, quando, al contrario, l’unico effetto che si ottiene è quello di non farsi leggere affatto.
    Poi a me pare che esista una certa confusione di ruoli. Una volta per tutte: il giornalista informa, il critico promuove intellettualmente artisti e movimenti in cui si riconosce e a lui contemporanei, lo storico storicizza. Lo sguardo dello storico è quello freddo dello scienziato che analizza un fenomeno, quello del critico è appassionato, necessariamente fazioso (più è bravo, più è fazioso), quello del giornalista è (dovrebbe essere) ben aperto su quanto di rilevante sta producendo la contemporaneità ( e qui comprendo anche grandi mostre su importanti maestri del passato).
    Vorrei essere chiara: apprezzo moltissimo critici colti, intelligenti e comunicatori capaci, il fatto è che in giro ne vedo pochi. Auspico fra i collaboratori di “Arte in” anche il contributo di filosofi, sociologi e letterati per ampliare la visione, il confronto, per mettere a disposizione del pubblico chiavi di lettura differenti. In sostanza per far sì che i nostri tanti bei discorsi sull’arte non si risolvano in soliloquio o vaniloquio, per uscire dall’autoghettizzazione nel quale si è impantanato oggi il sistema dell’arte.
    Ed eccomi, infine, a Gilberto: grazie per leggere “Arte in”. Capisco che una bella ragazza in copertina al posto di un artista calvo o canuto produrrebbe un effetto più gradito. Ma immagino che non ti aspetti questo da una rivista d’arte.
    I capelli bianchi sono i più immediati indicatori di un vissuto alle spalle. Perché aver paura della storia, specie in un mondo in cui tanti guai capitano per la perdita della memoria storica? Ad “Arte in” siamo in contro-tendenza: ad una società sempre più pedofila rispondiamo con la gerontofilia, però, come da lettore che suppongo acuto e attento saprai, riservando ampi spazi, all’interno della rivista, anche a giovani emergenti.

  9. Mi piace quando parlate di arte giovane e mi piacciono le interviste ai galleristi d’arte contemporanea. Pero sono daccordo con il lettore che non gradisce i vecchietti in copertina..specie se si tratta di personaggi di dubbio gusto e qualità come Botero….

  10. Non sono affatto d’accordo con lei, direttrice, sulle sue perplessità in ordine all’efficacia e alla profondità della comunicazione che si attua attraverso la rete telematica. Addirittura se questa ha ad oggetto l’arte, mi sembra di capire, questa non sarebbe che mera comunicazione e non “informazione e critica”, compito questo ben più arduo e da affidare alle riviste patinate di settore (molto più qualificate per lo scopo.Lì sì che scriverebbero i grandi intellettuali…gente che ti allarga gli orizzonti della mente!). Io non credo che il mezzo abbia la capacità “taumaturgica” di modificare la sostanza e il valore della comunicazione. Trovo che spesso le riviste di settore siano oppresse da interessi di mercato e da piaggerie politiche, cosicché è ben più facile reperire delle voci indipendenti e brillanti in un mezzo veramente democratico come la rete. D’altronde, in ogni campo del sapere, da anni gli intellettuali più sensibili utilizzano la rete per la divulgazione del loro pensiero.
    Si dirà che vi è un eccesso di informazione in Internet, che è difficile fare una cernita. Questo è un problema diverso.
    Se vogliamo lo stesso problema sussiste nell’editoria. Troppi libri cretini escono a getto continuo (e vendono pure, aiutati da amicizie politiche, televisive, universitarie ecc.), e mi consenta, anche molte riviste d’arte. Lei ha dimostrato molto coraggio ad accettare di comunicare liberamente con i lettori di exibart, ben sapendo che questo può benissimo essere un trampolino di lancio, ma anche una impietosa gogna.Ma le dico, l’ho apprezzato molto.
    Se il mondo culturale italiano si vuole svecchiare deve accettare il confronto e aprirsi alla rete. Certo è molto più facile pascersi dell’amico che ti fa pubblicare il tuo libercolo insulso, e di quell’altro collega che te lo fa pubblicizzare in Tv, facendoti diventare un luminare della disciplina…stesso discorso vale per le riviste, che grazie ad Internet stanno perdendo poco a poco quel potere che per anni hanno avuto, non solo nella politica ma anche nell’arte. I tempi sono cambiati e certe cose, grazie al cielo sono destinate a scomparire.
    Basta con le caste, con il prestigio svincolato dalla sostanza, dall’effettivo valore.In ciò, mi auguro converrà con me, c’è il seme di un futuro migliore, e per l’arte l’inizio di una nuova stagione fatta di ripensamenti delle categorie filosofiche ed estetiche su cui essa si articola e che per anni sono state offuscate da tanto critichese becero di cui tra l’altro le riviste patinate d’arte si sono nutrite fino a scoppiare. La crisi, tuttavia, non è venuta dalla rete, che anzi a riviste come la sua regalerà sempre nuovi lettori, ma da una stanchezza serpeggiante tra il pubblico, che finalmente vuole veramente capire l’arte e che era stufa di dover leggere degli articoli pensando di avere tra le mani la traduzione in versi sciolti delle opere in mostra.Pesimi versi solitamente.
    Un ultima cosa. Io non credo che l’arte si trovi dappertutto. Che sia arte la pubblcità, le copertine dei dischi o una motocicletta, come va di moda dire negli ultimi tempi. Questa è solo una conseguenza della povertà teorica della critica d’arte contemporanea.
    Tanti settori “ricordano” l’arte contemporanea, ne hanno cioè assorbito i linguaggi, i meccanismi, la rappresentatività, i simbolismi ecc. e questo, che è cosa ben diversa, permette di comprendere l’importanza culturale dell’arte contemporanea, malgrado tutto.

  11. Ringrazio Biz per il “monumento”, ma non credo sia ancora il tempo. Fra quale anno, magari… No, dai. A parte gli scherzi. Grazie davvero a tutti coloro che intervengono, anche grintosamente come Biz o pacatamente come Laido. I loro interventi mi offrono la possibilità di parlare delle domande poste.
    Sono state fatte tutte uguali col fine di ottenere uno spaccato della situazione omogeneo, sugli stessi temi. Credo ciò possa interessare perché dà la possibilità di confrontare le risposte dei vari direttori e a ognudo farsi un’idea propria. E noto che tutti ne hanno una.
    Premesso che le riviste le leggo tutte, vorrei tornare sull’argomento del linguaggio, che Politi ha lasciato cadere come una foglia secca.
    Ai lettori consiglio di valutare le riviste non solo in base ai propri gusti (in base a quelli le riviste si comprano, non si giudicano). Esistono anche dei criteri abbastanza oggettivi come l’uniformità di linguaggio nell’intera rivista. A Arte in, per esempio, i nomi delle correnti sono tutti dritti e minuscoli, in altre riviste si trovano a volte maiuscoli, altre corsivi. A prescindere dai contenuti, noto che nelle altre testate l’editing non viene quasi fatto, lasciando sì libertà al collaboratore, ma di fatto rinunciando a un progetto di comunicazione più ampio che è la rivista, piuttosto che pensare al singolo articolo.
    Scendo in campo, mi schiero. E sostengo che Arte in è la rivista più leggibile sia per la forma che per grafica. Quanto ai contenuti, forse non è così orientata al contemporaneo quanto Flash art o Tema celeste, ma ha degli ottimi collaboratori

  12. Ringrazio Biz per il “monumento”, ma non credo sia ancora il tempo. Fra quale anno, magari… No, dai. A parte gli scherzi. Grazie davvero a tutti coloro che intervengono, anche grintosamente come Biz o pacatamente come Laido. I loro interventi mi gratificano e stimolano più di altro. E ora mi offrono la possibilità di parlare delle domande poste agli intervistati.
    E’ stata una scelta precisa e ponderata di farle uguali. Il fine è ottenere uno spaccato eterogeneo della situazione.
    Interrogndoli sui medesimi temi sono riuscito a metterli a confronto, cosa che in altri modi non si sarebbe realizzata. Credo ciò possa interessare perché dà la possibilità di relazionare le risposte dei vari direttori alla stessa questione, e a ognuno di farsi un’idea propria. E noto che tutti ne hanno una.
    Premesso che le riviste le leggo tutte, vorrei tornare sull’argomento del linguaggio, che Politi ha lasciato cadere come una foglia secca.
    Ai lettori consiglio di valutare le riviste non solo in base ai propri gusti (in base ai gusti le riviste si comprano, non si giudicano). Esistono anche dei criteri abbastanza oggettivi come l’uniformità di linguaggio nell’intera rivista. A Arte in, per esempio, i nomi delle correnti sono tutti dritti e minuscoli, in altre riviste si trovano a volte maiuscoli, altre corsivi. Prescindendo dai contenuti, noto che nelle altre testate l’editing non viene quasi fatto, lasciando sì libertà al collaboratore, ma di fatto rinunciando a un progetto di comunicazione più ampio che è la rivista, pensando al singolo articolo e collaboratore.
    Il risultato è un articolo interessante e scritto bene, chiaro e conciso, l’altro incomprensibile, con frasi interminabili che provocano solo asma e che, appunto a causa della forma non appropriata al concetto, non danno niene al lettore.
    Arte in è fra le riviste con il più alto grado di leggibilità, sia per la forma che per grafica. Il linguaggio è uniforme (non uguale, non clonato) sia che scriva Barbara Rose, Luigi Lambertini o chialtro. Così pure, ho notato, è a Tema Celeste.
    Quanto ai contenuti, forse non è così orientata al contemporaneo quanto Flash art o Tema celeste, ma guardando la situazione da un punto di vista diverso, si può affermare che ogni appassionato d’arte ha la possibilità, in Italia, di scegliere la rivista che più gli aggrada; l’offerta mi sembra abbastanza ampia.
    E qui, in base al gusto, si sceglie.
    Ultima cosa sulla net-art: la rete è un mezzo di comunicazione, come la tv o la radio; questi mica sono diventati strumenti artistici. Personalmente non credo nemmemo all’arte digitale, figurarsi alla net-art. Credo nelle tecnologie nell’arte. E’ importante il concetto, l’idea, la creatività, il mezzo si sceglie di conseguenza, pittura, scultura, mouse…
    Aspetto ardite risposte.
    Ciao a tutti
    Silvio

  13. Caro Silvio,
    Politi non ha lasciato cadere come una foglia secca solo la tematica del linguaggio, ma tutta la tua intervista.
    Infatti ti ha trattato con la stessa sufficienza con la quale Constanze Wilde trattava gli scritti di Thackeray.
    Peccato che lui non sia altrettanto interessante di Constanze Wilde. E non certo per il sesso a cui appartiene.
    Dici bene quando affermi che le riviste si comprano in base ai gusti, poichè se dipendesse dalle sorti del giudizio molte riviste non esisterebbero nemmeno.
    I gusti sono pessimi e il giudizio è totalmente assente.
    Arte In ha il più alto grado di leggibilità? cos’è? una qualità?
    L’arte più leggibile è spesso semplice decorazione.
    Ma cosa importa?
    L’importante è che si dia ai lettori ciò che i lettori vogliono leggere no?
    D’altra parte… quando si leggono affermazioni quali “il critico promuove intellettualmente artisti in cui si riconosce e a lui contemporanei”… beh… più che gusto qui si tratta di disgusto.
    Tu mi piaci molto, ma comprendo che avrai una famiglia a cui pensare.
    Ciao, Biz.

  14. Alcune cose che dici, Biz, le condivido pure. Ma è il disegno generale dei tuoi interventi che mi sfugge. Talvolta sembra tu stia facendo una crociata in nome di chissà quale principio. Insomma pare che tu esageri un tantinello rifiutando di capire o di accettare cose che sembrano abbastanza ovvie facendo le pulci ad ogni affermazione tolta dalle interviste di Saura.
    Enumerazione per spiegazione:
    “L’arte dappertutto”: che c’è di male in questo concetto che ben esprime, in positivo ed in negativo, la tendenza contemporanea a vedere l’arte ovunque, persino in un paio di scarpe da tennis? Senza contare che la direttrice di Arte In, da addetta ai lavori, in quel frangente faceva suo un concetto che Szemann porta avanti fin dalla scorsa Biennale veneziana e che, a quanto pare, si vedrà anche quest’anno e che comunque è apparso chiaro anche nella recente Biennale di architettura.
    “Raggiungere un pubblico di non addetti ai lavori”. Ovvio e scontato? Beh, dovremmo avere sotto mano i dati relativi ai lettori di Arte In e di altre riviste per contraddire il direttore. Insomma recentemente ho letto un articolo proprio su Arte In che spiegava, brevemente alcune questioni di mercato. Certo non approfondiva questioni legali e non aveva la pretesa di essere esaustivo, ma diciamo pure che è un buon inizio per coloro che, non sapendo nulla di mercato, si chiedevano perché l’America fa il mercato. In realtà, sulle riviste per così dire “specialistiche”, spesso si danno per scontate questioni che non sono proprio di facile accesso e di dominio comune. Giusto quindi l’intento di diffondere la conoscenza su un argomento così spinoso assumendosi il ruolo di far da guida (insomma, anche quando dobbiamo comperare un libro di informatica scegliamo, in base alle nostre conoscenze, la guida facile, per utenti medi o per esperti, perché l’Arte dovrebbe essere riservata solo ad una casta di sapientoni?)
    “Il critico promuove intellettualmente artisti in cui si riconosce e a lui contemporanei”.
    Riconosco che il concetto non è proprio ben espresso, ci sono altre componenti che intervengono nell’attività di un critico; insomma il direttore pare rinverdire i fasti di una critica militante che appartiene al passato e non al mondo attuale tutto-marketing e denaro. E’ auspicabile, d’altro canto, che un critico, nella sua attività, finisca per promuovere uno o più artisti che, a suo giudizio e parlando d’arte contemporanea, rappresentino l’età attuale e propongano nuove direzioni del gusto. Il critico scrive per interpretare e sistemare (in senso filosofico) ciò che sta accadendo nel mondo dell’arte, scegliendo fra le proposte quelle che gli paiono più convincenti e vicine al suo modo di intendere l’arte; d’altro canto è il motivo per il quale Politi si è schierato contro la net art, giusto per avere un esempio noto a tutti.
    E a proposito di Politi: la “sufficienza”, nei suoi interventi, l’hai vista solo tu. A parte le risposte alla intervista, perfettamente in linea con il Politi-pensiero che si può leggere sulle pagine di Flash Art e tutt’altro che scontate per chi Flash Art non abbia mai letto, comunque sia è un fatto che proprio quel modo provocatorio di porsi di Politi ha generato in calce all’articolo un dibattito che non è ancora sopito, coinvolgendo anche te ora. E che Politi non abbia sottovalutato l’intervista lo dimostrano le sue regolari e circostanziate risposte a tutta la serie di commenti dei lettori. Politi, insomma, non si è sottratto, tutt’altro; da lettore di Flash Art non posso che stupirmi invece di questo dibattito e della disponibilità di Politi, che nella rubrica “Lettere al direttore” su Flash Art non lascia, ed è ovvio (come potrebbe se non a distanza di un paio di mesi?), possibilità di controbattere a caldo alle sue sferzanti e decise affermazioni. Semmai trovo che il suo sia stato un atto di umiltà, certo. Avendo letto delle sue perplessità sul web e avendo, lui stesso, dichiarato la propria scarsa attitudine all’utilizzo della rete, mi sembra che il fatto di accettare di sperimentare questo nuovo strumento di comunicazione e di farlo pure, ad un certo punto, facendosi prendere da un pizzico di entusiasmo al punto di scrivere a ruota libera come si trovasse al bar, sono cose che spiegano bene il motivo per cui Flash Art sia, a tutt’oggi, la rivista con maggior seguito. Ora immagino che dall’alto del tuo disincanto mi proporrai una visione della vicenda tutta determinata da speculazioni pubblicitarie e motivi di auto promozione. Può darsi, ma tant’é che Flash Art ha dimostrato una lungimiranza ed una apertura al nuovo (che tanto nuovo non è) che altri, come Temaceleste, non hanno saputo avere. Ti saluto e mi complimento comunque per la tua capacità di alimentare il dibattito. Spero di leggerti spesso.

  15. Caro Laido,
    spero di non dispiacerti troppo se ti dico che sono totalmente d’accordo con la tua esposizione. Trovo la tua argomentazione davvero apprezzabile e la condivido.
    Tranne che su un solo punto.
    D’altra parte mi preoccuperei di me stesso se così non fosse.
    Un caro saluto. Ciao, Biz.

  16. Caro Biz, condivido la tua opinione sull’intervista, è mielosa e buonista (anzi finto-buonista) oltre misura. Trovo invece un po’ ingenuo da parte tua esprimere tanti apprezzamenti nei confronti dell’intervistatore. Non hai capito che si tratta di domande standard, le stesse rivolte a Politi e le stesse che probabilmente leggeremo nelle prossime puntate? Non capisco quale meraviglioso acume tu possa trovare in tutto questo.
    E poi, scusa, hai mai letto Arte in? L’autore dell’intervista è il segretario della redazione. Ovvio che non c’è nessun intento di approfondire, provocare o altro. E’ tutta una sceneggiata fatta in casa e questo, più che disgustoso, a me sembra poco serio.
    Ciao

  17. Per Luca. Va bene, Saura sarà anche il segretario di Redazione di Arte In, e allora? Tu stesso dici che ha scelto di fare domande tutte uguali a tutti i direttori, per cui: perché dici che è una cosa fatta tutta in casa? Circa la non volontà di affondare il coltello, io credo tu sbagli anche stavolta. Ovvio che se ci si ferma all’articolo è così, ma mi sembra evidente a tutti che l’intervista standard è solo un pretesto; l’articolo, quello vero, è in progress per la durata del pezzo su Ex e oltre. L’articolo vero, l’intervista vera, si completa solo con il dialogo con i lettori, tanto è vero che dei due direttori finora apparsi nessuno si è sottratto a questo dialogo, anzi. Saura è un giornalista che ha avuto un’ottima idea, il suo progetto sta funzionando. Certo che, con il lavoro che fa, l’avvicinare i direttori delle altre riviste gli sarà risultato un compito abbastanza agevole (ma neanche tanto visto il paio di rifiuti dei quali ci diceva). Ed escluderei anche che i suoi interlocutori non fossero coscienti di trovarsi di fronte ad uno che lavora per la concorrenza (data la sua posizione). Per cui, che c’è di male in tutto ciò? Ex è uno spazio che è sempre stato aperto a tutti, e l’occasione per discutere con i direttori e Saura stesso è per noi del tutto inedita. Comunque non ho dubbi che Saura saprà dire la sua a riguardo. Preventivamente ho detto la mia, frutto solamente di ciò cui ho assistito finora.

  18. A Biz Panacea:

    Iniziamo dalla fine: non vedo perché scusare chi afferma di essersi astenuto dal “dire completamente quello che pensa” quando nessuno lo ha obbligato a parlare. Facile gettare il sasso e nascondere la mano. Troppo facile e da pavidi. Il tuo intervento, oltretutto accuratamente occultato dietro uno pseudonimo, assume la connotazione di una lettera anonima, che merita risposta solo per rispetto all’editore, al direttore e all’intervistatore di Exibart.
    Capisco che chi dà prova così evidente di codardia reputi – come non mi sono mai sognata di ritenere – “eroica” la mia intervista a Leoluca Orlando in tempi cui lui si trovava nel mirino della mafia, e ne provi irritazione. Dici con sdegno che l’intervista da me rilasciata a Silvio Saura “è pregna di morale”, dimostrando la verità di un assodato assioma psicanalitico: in genere le accuse che si rivolgono agli altri corrispondono a quanto non si vuole vedere in se stessi.
    Perdonami, ma come fa uno/a che ha la presunzione, supponenza, arroganza, megalomania di firmarsi Panacea (letteralmente rimedio per tutti i mali) a tacciare di moralismo le parole altrui?
    Poi, oltre a non saper scrivere, non sai nemmeno leggere. Personalmente, ho sempre evitato ogni tipo di morale : di solito chi come te si inalbera tanto in nome della morale è chi conosce meglio le vie per evitarla. Non sono in cerca di consensi: come Oscar Wilde, so bene che a voler piacere a tutti si finisce per non piacere a nessuno. In ogni caso, mi sento onorata dal fatto di non piacere a uno/a come te: un individuo che lancia attacchi privi di argomentazioni, non ha il coraggio di dichiarare la sua identità, è talmente ridicolo, mostruoso o psicolabile da pensarsi Panacea.
    Non condividi che io possa trovare l’arte in un bicchiere e auspicare di vedere “Arte in” nei saloni del parrucchiere come sulle scrivanie dei docenti universitari? Peccato per te che sei così anacronistico/a da non aver ancora capito la via aperta da Duchamp e che il compito di una rivista d’arte consiste nella divulgazione dell’arte, che non significa raccontarcela fra di noi, ma toglierla dal piedistallo e farla entrare nelle case della gente. Quando affermo di selezionare “argomenti che possano interessare i lettori”, mi riferisco a quelli che devono interessare i lettori, preoccupandomi di offrire loro un panorama il più ampio possibile, su quanto di meglio, ma anche di peggio, stia producendo la contemporaneità artistica. Non ho nessuna intenzione né di assecondare un presunto gusto del pubblico, né tanto meno di plasmarlo, ma di svolgere in coscienza e, soprattutto, con umiltà (caratteristica che non traspare dal tuo scritto), il mio lavoro
    Non sono mica io a volermi chiamare Panacea!

    A Fabri

    Sulle ragioni dei “vecchietti” in copertina ho già risposto l’altro ieri. Aggiungo che per scelta editoriale mettiamo in copertina chi ha dimostrato sul campo, con anni di lotte e di impegno, di meritarla. Non il giovane appena arrivato che domani potrebbe pure cambiare mestiere. Definisci Botero “personaggio di dubbio gusto e qualità”, una tua opinione che in quanto tale merita rispetto. Ovviamente, per averlo pubblicato e aver personalmente scritto il servizio, la penso diversamente e, con me, le più prestigiose istituzioni museali e gallerie private a livello mondiale. E’ stato l’unico artista vivente a cui i parigini hanno fatto esporre lungo gli Champs Elysées: vorrà pur dire qualcosa, no? E’ l’artista vivente che ha raggiunto le quotazioni più elevate nelle grandi aste internazionali: vorrà pur dire qualcosa se i collezionisti più importanti e, bada bene, non solo i più facoltosi, si contendono le sue opere. Sapevamo, dedicando la copertina a un artista come Fernando Botero che suscita sentimenti forti e contrastanti, che non si può che amare o odiare, che saremmo piaciuti e assieme dispiaciuti a molti. Fa parte dei rischi del nostro mestiere che abbiamo la gioia e, se me lo permetti, il coraggio di correre.
    Nella prossima copertina, ti anticipo, comparirà Fabrizio Plessi: già presento gli anatemi dei tanti che continuano a provare orrore per il video e, tuttavia, non me ne importa nulla. Come giornalista che si intrattiene con la contemporaneità artistica, avverto il dovere di informare nella stessa misura sul “fenomeno” Botero, come sul “fenomeno” Plessi.

    A Laido

    Meraviglia del giochino degli pseudonimi adottati per la rete! Per uno che si definisce Panacea e non è capace di guarire neanche uno dei suoi mali privati, se ne incontra un altro che si firma Laido, le cui opinioni non suscitano affatto quel senso di repulsione e ribrezzo suggerito dal nome prescelto.
    Dunque, caro Laido, non torno sulla questione della comunicazione web che mi pare di aver già chiarito l’altro ieri, né sul concetto di un’arte ampliata, fatta di slittamenti e contaminazioni, spiegato sopra. Per il resto, che dire?, sono d’accordo su tutto: troppa banalità data alle stampe, troppi pessimi articoli, ancora troppo critichese e troppe riviste oppresse da interessi di mercato e, manchi di annotarlo, degli stessi editori. Se in questo consiste la tua lotta, forse, ti parà piacere sapere che è la stessa ingaggiata da “Arte in”. Con quali risultati, giudica tu. Per quanto mi riguarda, so bene che vincere una battaglia non equivale ad aver vinto la guerra. Ho scelto di andare al fronte, mi preoccupo più di fare il buon soldato che di salvare la pelle.

  19. Caro Luca,
    non ti seguo. Prima noti che le domande sono le stesse per tutti, quindi la parità di trattamento, poi dici di questa operazione che è fatta in casa.
    Posso conoscere la situazione di Arte in, e allora? Ciò mi aiuta a trovare dei criteri di valutazione il più oggettivi possibile. Non amo le sviolinate, e ci tengo a mantenere separato il mio rapporto con Exibart e Arte in. Detto ciò, in un progetto comprendente le maggiori riviste d’arte italiane, ho ritenuto di inserire pure questa. Che cosa avrei fatto per favorirla rispetto alle altre?
    Mi sono già espresso in favore anche di altre testate e su varie tematiche, da quella comunicativa a quella contenutistica. Dobbiamo guardare a queste testate come “riviste”, non come “opere d’arte”; sono organi di informazione.
    Biz, quanto a Politi, ha lasciato cadere quell’argomento, certo, ma ciò non basta a dire che mi abbia trattato con sufficienza.
    La sua partecipazione ha dato il via a una serie di evoluzioni epistolari nel web che non mi aspettavo. Ci ha creduto. E quella discussione sulla comunicazione la finiremo un’altra volta, magari davanti a un buon bicchiere di vino, visto che piace a entrambi. Nessuno odia nessuno, qui. E i rapporti rimangono nel massimo rispetto.
    Quanto alla famiglia da mantenere, consta di una sola persona: me. E anche se a fine mese ci sono le bollette da pagare, non mi prostituisco. Con nessuno e per nessuno.I rischi del caso li accetto tutti.
    Mi aspettavo che qualcuno si accorgesse che lavoro a Arte in. Per questo sono rimasto imparziale, per correttezza nei confronti di chi legge e di chi mi pubblica, da entrambe le parti.
    Riguardo al “critico che promuove intellettualmente…”, ognuno fa le proprie scelte. Io lavoro in modo diverso: faccio una ricerca per progetti espositivi. Prima nasce l’idea della mostra, poi, in base a quel pensiero, scelgo e cerco gli artisti necessari.
    Comunicare è la traccia che lasciamo dietro di noi perché sia percorsa da chi viene dopo. Non è ancora tempo di bilanci. Il contemporaneo lo stiamo facendo adesso. È tutto in corso d’opera. Con questi progetti vogliamo togliere ogni volta un piccolo mattone al muro che divide la memoria dall’azione.

  20. Qualora Luca (Firenze) creda che su Exibart si pubblichino ‘cose fatte in casa’ o similia (offendendo in maniera diretta chi firma l’articolo e in maniera indiretta tutta la struttura editoriale dove è pubblicato il commento in cui egli si è prodotto), non farebbe bene quest’ultimo a consultare qualche altro sito d’arte probabilmente più di qualità del Nostro?

  21. Quante inutili polemiche. L’intervista è interessante. Le domande più che pertinenti. E non capisco quale sia il problema se uno lavora ad Arte in. Mi sembra tutto un po’ pretestuoso.

  22. Cara Signora Lorella Vattelapesca…
    AL momento, vista l’ora tarda, non ho tempo per rispondere dettagliatamente ai tuoi deliri di onnipotenza.
    Ma non posso esimermi dal farti considerare che ti è “sfuggito”, giusto per usare un eufemismo, che “Panacea” non è un nome di persona o uno pseudonimo, bensì un “luogo”.
    Ma non mi meraviglia affatto che non lo sapevi.
    Questo, rispetto al resto che hai dimostrato di non sapere, è quasi irrilevante.
    A presto.
    Biz

  23. Adesso basta. Davide ha ragione: troppe chiacchiere, dovremmo essere qui per parlare d’arte. Paolo Farina di Milano – Biz Panacea – ha portato il discorso sul piano di una antipatia personale, offendendo anche chi ci ospita e facendo scadere notevolmente il livello del dibattito. Cari amici, non cadiamo nella sua rete.
    Il web vissuto a suo modo assomiglia a una subdola festa di carnevale dove, protetto dall’anonimato garantito dalla maschera, qualcuno crede di potersi permettere tutto. Tutto il peggio. Ora ha finalmente dichiarato nome, cognome e città: Milano, non più Panacea. Io avevo il piacere di conoscere Panarea. Il fatto che comunque finora si fosse firmato nell’altro modo suggerisce inevitabilmente un processo di identificazione, nemmeno poi tanto inconscio, con quanto il termine prescelto significa.
    Ringrazio Francesco per aver trovato la copertina interessante, Fabri per condividere l’intervista a Plessi e Massimiliano Tonelli, direttore di Exibart, per far sentire la sua voce e la sua autorità.

  24. Gentile signora Salvemini,
    mi dispiace aver letto ciò che ha scritto in risposta a Biz, che come
    gli altri, aveva solo espresso la sua opinione. Quel che non mi è piaciuto è il tono della sua risposta che andava a colpire la persona,(mostruoso, ridicolo, psicolabile, ecc.), ma forse voleva in questo modo controbattere alle accuse di buonismo. Mi dispiace perché lei accusa una persona di non saper leggere quando invece è lei a non aver capito che Biz è il soprannome e Panacea il titolo del suo messaggio: comunque sono cose che possono capitare,specialmente quando,
    ci si vuole difendere da ciò che si reputa
    un’offesa. Su alcune argomentazioni sono d’accordo con Biz, ma capisco anche
    il suo tentativo di voler divulgare l’arte: quando un temperamento generoso scopre una cosa bella vorrebbe condividerla con tutti,
    vorrebbe che un gran numero di persone la potesse apprezzare e ne partecipasse insieme a lui: un po’ come Prometeo con il fuoco. Nello stesso tempo l’ambivalenza della divulgazione sta nel fatto che per arrivare ad un gran numero di persone bisogna parlare di qualcosa che conoscono almeno un po’, (più tardi poi si arriverà a quel qualcosa di nuovo e fuori dalle mode e dalle tendenze;quasi come una grande galleria del passato è arrivata a Morandi, commerciando pittori di cui ora non si sa più il nome) ecco allora viene fuori Botero , invece di altri, che hanno ugualmente lavorato e duramente, mettendosi in gioco ogni volta, senza cambiare mai mestiere, essendo esso la loro ragione di vita, perché a parlare di questi si rischia di non esser capiti o di non avere un pubblico, ( per certi aspetti , osava di più la Grazia degli anni ‘60-’70 quando teneva la rubrica «I Maestri di domani»). Certo, la mediazione è un’arte difficile, ancora di più quando si deve tradurre sul delicato territorio dell’espressione artistica, territorio di idea e di emozione e ancora di più adesso: appunto negli anni ’60 ’70 c’era più “pubblico”, chi faticava per comprarsi un quadro o una scultura, perché gli piaceva e riusciva a leggere anche opere che adesso sono i “critici” o i giornalisti a voler spiegare, ora si fanno gli investimenti. Però, se è vero quanto afferma nell’intervista, spero che usi quell’umiltà e coscienza che si attribuisce per rivedere i toni della sua risposta.
    Per il resto buon coraggioso lavoro.

  25. Signora Lorella,
    Parlare d’Arte…. Ci abbiamo provato!!, anche in questa tua intervista si cercava di parlare d’Arte. Ma non ci siamo riusciti.
    Abbiamo provato ad esprimere le nostre perplessità in merito alla quasi totalità delle tue affermazioni sull’arte….
    Ma non siamo riusciti a trovare l’arte nelle tue risposte alle mie critiche di merito.
    Ciò che penso della tua intervista l’ho già espresso, e sebbene ti possa apparire un attacco personale, devo deluderti, ma così non è stato.
    Le mie critiche sono state molto circostanziate nel “merito” delle tue affermazioni, sarebbe sufficiente rileggere il mio primo intervento.
    Alle mie critiche rispondi consigliando di “non cadere nella mia rete”.
    Mio Dio, che tristezza!
    Se rispondi con questa superbia alle critiche, se rifiuti di metterti in discussione, se non vuoi che anche altri usino il cervello di cui la Natura li ha dotati, beh… allora resta pure dietro la patina plastificata della tua rivista, attraverso la quale potrai parlare da un pulpito che non ammette risposte, attraverso la tua indiscutibile autorità e superiorità a cui tutti si debbono piegare. Arte compresa.
    Forse ti aspettavi un’apoteosi di consensi o l’ossequio a cui sei abituata per il solo fatto che sei direttrice di una rivista d’arte.
    E’ meschino costatare come da parte tua chi non condivide le tue idee viene considerato subdolo, psicolabile ed espressione di chissà quale carnevale.
    E ti esprimi con esclamazioni autoritarie del tipo “Adesso basta”, oppure mi rispondi dicendo che “nessuno mi ha obbligato a parlare”
    Tutto questo non ha nulla di artistico.
    Lo avevo colto fin dall’inizio, ma ora tutti hanno letto ciò che hai scritto.
    Ubi maior, minor cessat.
    Ciao, Biz.

  26. A me questo BIZ sta un sacco simpatico!!
    E’ un ragazzo in gamba e io, se fossi nei panni della signora direttrice lo assumerei subito…

  27. Cara direttrice,
    condivido la delusione di Anna Lavagnino e sottoscrivo quello che ha detto Biz. Il tono della sua risposta a Biz fa proprio cadere le braccia. E’ vero che egli ha distrutto spietatamente la sua intervista. Ma lei, invece di difendere le sue posizioni e smentirlo con argomentazioni più convincenti, ha preferito distruggere la persona.
    Questo non solo è scorretto, ma è anche controproducente dal momento che pretende di appoggiarsi a “postulati” psicanalitici che possono benissimo essere ritorti contro di lei. Se “in genere”, come sostiene, le accuse che si rivolgono agli altri “corrispondono a quanto non si vuole vedere in se stessi”, non crede che sulla base della sua risposta potremmo vedere in lei: presunzione, arroganza e megalomania? Penso inoltre che prima di usare aggettivi come “mostruoso” e “psicolabile” dovrebbe riflettere un po’.
    Quanto ai processi di identificazione, consci o inconsci , quali ambiguità dovremmo mai attribuirle quando dice “come Oscar Wilde, so bene….”?.
    La mia impressione è che lei sia abituata a consenzienti ipse dixit e non tolleri il contraddittorio.
    Se il livello della discussione qui si è abbassato credo sia proprio colpa sua. Non pretenda di salire in cattedra per il fatto di dirigere una rivista e veda di essere più democratica.
    Saluti

  28. Gentile Signora,
    ho riletto alcuni degli interventi e, tra gli altri, in quello del Signor Paolo Barnabei si accenna ad un articolo della sua testata nel quale si parlava di questioni di mercato. Quell’articolo mi è sfuggito e vorrei sapere se in esso venisse trattata anche la questione del mercato delle autentiche. Se no, che ne pensa al riguardo?

  29. Dopo questi ultimi interventi, come si sentirà la direttrice che tante cose sa “come Oscar Wilde”? La risposta ce la offre lo stesso Wilde.
    “… il signor Bunbury è morto questo pomeriggio”, dice Algernon in ‘The importance of being Ernest’.
    “Di che cosa è morto?” chiede la zia Augusta.
    “Bunbury? – risponde Algernon – Oh, è stato completamente demolito”.
    Povera superba direttrice!!!

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