Categorie: Personaggi

IL MECENATE CON LA FOGLIA DI FICO

di - 6 Luglio 2008

Fu l’uomo più onesto del mondo; un ecclesiastico esemplare; dai valori più puri: devoto, saldo, istruito, diligente”. Poche parole dal Registro Annuale, et voilà: ecco papa Clemente XIII, al secolo Carlo della Torre di Rezzonico.
Cos’aveva di speciale questo veneziano nato nel 1693 e divenuto pontefice il 6 luglio 1758, tanto da meritarsi, 250 anni dopo, pompose celebrazioni che coinvolgeranno tutta la città di Padova in cui fu vescovo? Certo è che il buon Clemente non fu quello che si dice un liberal. Pudico all’eccesso, fu lui a far ricoprire con le foglie di fico le nudità delle antiche statue lungo i corridoi del Vaticano. Fiscale nell’applicare le prescrizioni liturgiche, s’inimicò i romani imponendo la rigida osservanza della Quaresima. Nepotista come si addice a chi viene da schiatta abituata ad acquistare titoli nobiliari a suon di sghèi, nel 1761 fece beatificare quel Gregorio Barbarigo che era stato suo predecessore nella diocesi patavina, ma che era anche suo parente per parte di madre. E che dire dei due nipoti Abbondio, che ventiquattrenne fu fatto senatore a Roma, e Gian Battista, nominato maggiordomo? E dell’inserimento, per paura dell’Illuminismo, dell’Encyclopèdie di Diderot e D’Alembert e dell’Emile di Rousseau nell’Indice dei libri proibiti?

Per questo, come per il suo carattere legnosetto, fu oggetto di sfottò e libelli satirici. Ma non da parte dei gesuiti, e ricambiò il favore. Affezionato a loro sin da quando, ragazzo, lo avevano educato, non esitò a litigare con il marchese di Pombal, il ricostruttore di Lisbona dopo il terremoto del 1755, quando questi, in vena di riforme, pensò di espellerli dal Portogallo. Lo stesso fece con Luigi XV quando il Parlamento francese osò promulgare un arrêt col quale sopprimeva l’invadente Ordine: in tutta risposta, urlò allo scempio dei diritti della Chiesa e annullò il decreto, così il re per difendere la Francia dalle ingerenze romane li buttò fuori.
Sordo alla ventata d’aria fresca che soffiava per l’Europa, si ostinò a chiudere la porta per evitare che entrassero financo gli spifferi. Così, a suon di bolle, continuò a proteggere i gesuiti condannando i sovrani che, dalla Francia alle Due Sicilie, dal ducato di Parma e Piacenza alla pur cattolicissima Spagna, li mettevano fuorilegge. Ma proprio alla vigilia del concistoro risolutivo morì, pare per un colpo apoplettico, mentre altri dicono -senza prove- che fu avvelenato.
Clemente era severo ma non gretto. Cercò di alleviare le sofferenze dei poveri, potenziò il seminario di Padova. Ma soprattutto, lontano dalla provincia, scoprì la bellezza delle arti. A Roma divenne amico del cardinal Albani, che gli insegnò a capire la pittura e la scultura, così che in poco tempo si circondò delle opere dei grandi del tempo. E fu ben consigliato se sponsorizzò Pompeo Batoni, divenne il mecenate di Piranesi e Mengs, e nominò Winckelmann sovrintendente alle antichità di Roma. A lui dobbiamo l’ultimazione della Fontana di Trevi, la costruzione dell’odierno Museo archeologico e la creazione del nucleo dei futuri Musei Vaticani. Infine, anche se dobbiamo ringraziare i suoi eredi, a lui è legato lo splendido monumento funebre scolpito da Canova.
Una figura chiaroscurale, quella di Clemente XIII Rezzonico. Le cui memorie oggi sono legate al bel palazzo omonimo che si affaccia sul Canal Grande. E che Diocesi di Padova e Regione Veneto hanno voluto celebrare ricalcando le feste che, con musica e spettacoli pirotecnici, 250 anni fa tennero impegnati i patavini per ben due mesi. Si parte il giorno dell’anniversario, il 6 luglio, con la Concelebrazione Eucaristica in cattedrale, seguita da un concerto dei Solisti Veneti in piazza Duomo. Poi, un convegno il 12 novembre a Palazzo del Bo e, per finire, la mostra al Diocesano, Clemente XIII Rezzonico. Un papa veneto nella Roma di metà Settecento.
Il mite ma risoluto veneziano torna così a far parlare di sé lungo il Bacchiglione. In tempi in cui la foglia di fico sembra tornata di moda.

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elena percivaldi




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