Ricordare Umberto Buscioni (1931-2019) a un anno esatto dalla sua scomparsa (il 6 maggio), ci porta a ripercorrere i tratti salienti della sua carriera artistica che prese avvio dai modi dell’Informale per poi svilupparsi, nei primi anni Sessanta, in seno a quella che Cesare Vivaldi ha definito la Scuola di Pistoia, gruppo del quale hanno fatto parte anche Roberto Barni, Gianni Ruffi e, per un breve tratto del percorso, anche Adolfo Natalini, distaccatosi poi per dedicarsi all’architettura.
Se la Scuola di Pistoia è stata uno degli apporti italiani (toscani) alla Pop Art, Buscioni del movimento angloamericano ne ha colto gli stilemi e le caratteristiche pur reinterpretandoli in modo autonomo e personale. Sempre attento alla circolazione delle idee e ai dettati culturali, mai si è buttato nella mischia ma ha accolto, selezionato e rielaborato quanto percepito per restituirlo sulla tela con forme animate da forze invisibili e colori accesi e decisi.
Con la metà degli anni Settanta, la pittura di Buscioni cambia passo: concentrato sulla storia dell’arte del passato, guarda al Rinascimento e al Manierismo e in particolare a Pontormo e a Salviati. Ne scaturiscono quadri di ampie dimensioni con una scansione geometrica di fondo molto netta. Attraversando gli anni Ottanta, muta anche la forma geometrica della tela che, sempre più, prende l’aspetto della pala centinata, della lunetta, della predella o del trittico. La sua pittura è pervasa da un misticismo lirico che mai sconfina nella piena religiosità ma mantiene una dimensione laica e distaccata. Il colore è vorticoso e le forme più drammatiche.
La tavolozza, dagli anni Novanta, diventa più cupa, più malinconica e i “fantasmi” vitali e vivaci che avevano caratterizzato le tele degli anni Sessanta si riaffacciano con un’accezione diversa: sono compagni taciturni di una solitudine introspettiva e di un distaccamento meditativo.
Compendio determinate alla pittura di Umberto Buscioni è la scrittura, cui si dedica in modo continuativo ma che ha i suoi esiti con diverse pubblicazioni dagli anni Novanta in poi. La sua è una scrittura talvolta ironica e fulminante, talaltra incisiva e lucida, che non lascia spazio a sbavature, la parola è puntuale e precisa, sintetica e determinate come una pennellata netta e decisa.
Parallelamente alla pittura a olio, Umberto Buscioni si è sempre dedicato ad altre forme espressive tangenti a essa, dal disegno al pastello, passando per l’acquerello. Per lo più nel corso del nuovo millennio si è, però, trovato più volte a confrontarsi anche con la realizzazione di vetrate, tipologia artistica che ben si attaglia con la campitura piatta che aveva caratterizzato i suoi esordi pittorici di risposta alla Pop Art, a quel tratto netto e deciso dei suoi disegni e alla personale religiosità inseguita negli anni Ottanta. Qui l’esplosione di colore, la dolcezza delle forme, la luminosità dei toni suggeriscono nuovi guizzi creativi trasognati.
È forse con questa produzione parallela e non marginale che si trova la sintesi tra la malinconica visione delle opere della piena maturità e la forza e il vigore che hanno caratterizzato il lavoro degli anni giovanili.
L’augurio è che la creazione di una pagina Wikipedia a suo nome e il restyling del sito web aiutino a focalizzare l’attenzione su questo artista che, seppur abbia vissuto appartato, ha dato un contributo determinante alla pittura italiana degli ultimi cinquant’anni.
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grande pittore e grande artista lui il covid-19 lo avrebbe dipinto e interpretato con la consueta eleganza e precisione