L’intervento/ Maria Morganti | Che cosa sono le CORRISPONDENZE

di - 9 Aprile 2012

Ho individuato nel testo introduttivo, nei testi sui singoli artisti, temi, parole ricorrenti, che sento vicine. Parole che mi arrivano, stimolate dal lavoro degli artisti. Parole che ascolto, in cui mi identifico.
Termini che riconosco, con i quali sento una corrispondenza. Parole che sento mie, per assonanza. Parole che mi risuonano dentro, che sono nell’aria e che forse appartengono un po’ a tutti noi.
Quello che trovo è che certe parole che ho profondamente sentito già dagli anni Ottanta, e che allora mi facevano sentire isolata, ora invece le ascolto, le sento pronunciare, risuonare nell’aria.
Mi sento vicina a questa generazione di artisti. Mi sento aperta e curiosa nei loro confronti. Mi sento in sintonia nel sentire, nei sentimenti, nei temi. Mi riferisco più a un sentire che ad immaginare delle forme comuni.
In queste mie osservazioni parto dal lavoro degli artisti, dalle loro opere, dai loro pensieri e dai testi nel libro che nascono dalle riflessioni intorno alle loro opere.
Processo, il fare
«Una riflessione sull’identità dell’opera d’arte che privilegia il metodo piuttosto che il risultato”, scrive Pratesi nell’introduzione. È più importante il fare della forma. La forma non è il contenuto del lavoro.
Tenere traccia di un procedere. Stare dentro a un processo, in un flusso continuo. Una processualità legata alla trasformazione. L’opera è un processo in divenire.
Registrazione della realtà
L’opera è una pagina bianca che accoglie, che registra una realtà che accade proprio qui davanti a noi e che nasce attraverso di noi. Accoglie senza quasi non intervenire sulla realtà.
Molti lavori mostrano ciò di cui sono costituiti, il retroscena, il meccanismo, ciò di cui sono fatti. Quasi come in una documentazione di sé stessi (come le macchine di Michele Bazzana e quelle di Alberto Tadiello).
Alcune volte l’opera si costituisce da sola, o dal movimento della natura stessa (vedi per esempio dei passaggi delle lumache di Emanuele Becheri o il vento che modella le cose di Alessandro Piangiamore).

Provvisorietà
L’opera rimane aperta, non finita… non de-finita. Un senso di precarietà e di non chiusura. Un senso di Incertezza, di Instabilità, di Imprecisione, di Non finito e di Provvisorietà.
A questo proposito mi piace citare una riflessione di un critico americano perché sento anche da quella parte, un sentimento comune. Si tratta di due articoli di Raphael Rubinstein apparsi uno l’anno scorso su “Art in America” e tradotto in Italia da Luca Bertolo e pubblicato su “Flash Art” e l’altro uscito proprio ora su “Art in America”. Il titolo è Pittura provvisoria 1 e 2.
Rubinstein parte dall’analisi di pittori di diverse generazioni, da Giacometti per passare attraverso Philip Guston, poi James Bishop e arriva a focalizzarsi su artisti dei nostri tempi come ad esempio Richard Aldridge e Christopher Wool, rintracciando una linea che definisce appunto “Pittura provvisoria”, in cui chiarisce una specie di provvisorietà inerente alla pratica della pittura.
Cito: «la ragione di quel che chiamo pittura provvisoria è da cercarsi nel suo rifiuto di un’opera finita e durevole.» e ancora: «artisti che da tempo producono quadri che hanno l’aria di essere stati buttati giù un po’ casualmente, a mo’ di tentativi, quadri che sembrano non-finiti o che si autocancellano. In modi diversi, tutti loro prendono le distanze dalla pittura in senso ‘forte’, a favore di qualcosa che sembra trovarsi costantemente sull’orlo dell’incoerenza o del collasso».
Rapporto con la materia, con il corpo e con lo spazio
Una realtà che nasce dalla nostra materia, dal rapporto del nostro corpo con lo spazio. È l’energia, il movimento del corpo nello spazio che danno vita alla materia, alla forma. A partire dalla materia, dal recupero di un’origine. Tornare al principio (come il suono per Alberto Tadiello).
Partendo da sé, dalla propria esperienza corporale. A partire dalla propria fisicità, corporeità (per esempio il corpo, l’azione del corpo sulla materia che produce l’opera in Alis Filliol).
Una conoscenza del mondo come esperienza personale. Attraverso il toccare materie che esistono da che mondo è mondo, usando anche tecniche tradizionali o riti ancestrali (come fa Luigi Presicce). E mettendole in relazione con molta libertà con materiali del nostro tempo.

Il Tempo
«Opere costruite giorno per giorno con coraggio e tenacia, urgenza e passione», dice Pratesi nell’introduzione.
Il tempo è la materia di cui è fatta l’opera. Il tempo è l’elemento necessario per la formazione dei lavori (per esempio per Chiara Camoni).
Lo stare dentro un lavoro che nasce e si costruisce nella lentezza nella continuità, nel tempo. Una riappropriazione di tempi dilatati, luoghi che non esistono nella realtà che ci circonda (per esempio la passeggiata lenta di Giorgio Andreotta Calò).
Un tempo non lineare. Un tempo fatto di Simultaneità di Co-presenza. Un tempo che va avanti e indietro. Uno spazio che fa coesistere diversi tempi in sé.
Frammento, Associazione, Coesistenza
È nell’insieme dei frammenti che si crea la narrazione. Ogni singolo lavoro di per sé è il frammento di qualche cosa di più grande ed è nel suo insieme che ne dà il senso. È nell’insieme che si forma il senso (penso al lavoro di Luca Trevisani o a quello di Luca Francesconi).
Paradossalmente alcune delle opere che vediamo di per sé sono senza forma, non ci appaiono, non ci danno il senso di un discorso… è nella giustapposizione delle singole parti che si costruisce il senso e si ritrova il filo del discorso.
Come un flusso. Un flusso di materiali. In questa frammentazione della realtà, ogni singola parte si mette in relazione con un’altra, si associa con un’altra e tutto insieme nel suo intero scrive il racconto e dà la sua visione del mondo.
Accumulo, Assemblaggio, Dispersione, Cancellazione
Un accumulo, una produzione di materia che si organizza poi nel suo insieme. Degli agglomerati, delle stratificazioni (come le sculture viventi di Anna Galtarossa e la massa di cose che si forma attorno a Sissi).
Una “materia” una “cosa” che si rende fisica, che si ammassa e che poi si ridispone, si risistema nello spazio. E che si associa con qualche cosa di pre-esistente. O che delle volte sparisce o si disfa lasciando qualche traccia di sé. Con un atteggiamento e un grande senso di libertà d’azione, di miriadi possibili di associazioni visive, mentali e temporali.
Una vena sentimentale, affettiva
Una materia che nasce a partire da sé, dai propri affetti, dalla realtà vicina a noi con un senso di complicità in un atteggiamento di ascolto. L’identità del singolo cresce e muta attraverso la condivisione con gli altri (come dice Chiara Camoni).

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