Una cartolina dalla biennale di Sarajevo

di - 12 Maggio 2013

[di Giovanni Cotroneo] Partiamo, Anna Rosa ed io, per un viaggio che ha tutto il sapore di un’avventura – e tale si rivela quasi da subito, ad iniziare dal volo per raggiungere la capitale della Bosnia Erzegovina, non collegata direttamente con l’Italia. Ma alla fine riusciamo ad arrivare e la sorpresa è quella di trovare una cittadina di circa 500mila abitanti piena di fascino nei vicoli della città vecchia, nella Biblioteca Nazionale (ex municipio, completamente distrutta dalla guerra ed ora ricostruita in modo esemplare), nella popolazione cordiale e ben disposta verso il cittadino europeo e verso un’integrazione con il sistema comunitario che li sta aiutando a dimenticare gli orrori di una guerra fratricida che si è protratta per troppo tempo.
Con un viaggio in pullman di circa un’ora e mezzo attraverso un paesaggio simil-alpino, con Valentina Valentini e Anna Pirri (rispettivamente moglie e figlia di Alfredo Pirri), arriviamo a Konjic, sede della Biennale. La Biennale, giunta alla seconda edizione, ha luogo in un posto incredibile: il bunker antiatomico che il Maresciallo Tito si era fatto costruire per sé e per i circa 350 “eletti” che sarebbero dovuti sopravvivere con lui ad un eventuale attacco nucleare. La costruzione del bunker è durata 26 anni, completamente scavata all’interno della montagna ed ancora oggi è un presidio militare. È incredibile percorrere i dodici blocchi nei quali è suddiviso, con l’aria condizionata perfettamente funzionante, la sala delle telescriventi e quella dei telefoni “rossi” collegati alle principali capitali del mondo, in modo che Tito ed i suoi generali avrebbero potuto anche da là sotto continuare a gestire il potere, anche se poi Tito non lo ha mai usato.

Ma oggi è tutto diverso e – come dice il Direttore della Biennale, Edo Hozic – si desiderano i raggi del sole al posto delle luci fluorescenti, il suono del vento tra gli alberi al posto del rumore sordo del condizionatore, il chiacchiericcio dei visitatori e il loro scalpiccio al posto del rumore con il quale si chiudevano le pesanti porte a tenuta stagna. Ed è così che il bunker nella sua solitudine in mezzo ai monti, durata per quasi mezzo secolo, ora accoglie con gioia gli artisti.
Ad attenderci troviamo Alfredo Pirri: ogni volta mi sorprende con il suo entusiasmo, con la gioia di quello che realizza e soprattutto di quello che contribuisce a fare realizzare. Ha un candore fanciullesco in una mente geniale e profonda, e sicuramente di spessore umano e filosofico che non sempre mi è così facile ravvisare in un artista. Con lui visitiamo la sua installazione Passi, 2013 un pavimento di specchi rotti e che continuano a rompersi sotto i nostri piedi man mano che percorriamo il lungo e stretto tunnel che collega i due ingressi del bunker, mentre la nuda volta ad arco in calcestruzzo vi si rispecchia. I militari di guardia lo salutano con rispetto, ma anche con gratitudine e simpatia, perché loro sono stati i protagonisti di un breve video che illustra il lavoro e che è visibile su youtube (www.youtube.com/watch?v=4mnHZYJd).

Con Alfredo visitiamo la Biennale – i lavori della passata edizione sono in gran parte rimasti in sito – e così il percorso si snoda tra lavori del 2011 e quelli del 2013. Una bella mappa aiuta a percorrere i corridoi ai lati dei quali si aprono le stanze o i servizi igienici o di sopravvivenza dei militari e che ora ospitano le opere d’arte. Questa edizione vede presenti 35 artisti di 21 diverse nazioni, soli o in gruppo, e veramente il tempo a disposizione è troppo poco per vedere tutto. Ma giunge anche il momento del pranzo ed è lì che possiamo parlare a lungo con il curatore Branco Franceschi e con alcuni artisti il cui lavoro ci ha particolarmente colpito.
Branco ci ripete quanto ha scritto nel breve ma efficace catalogo, sul perché ha scelto il tema “The Castle” per questa edizione: il bunker è infatti un castello costruito all’inverso, che invece di ergersi a difesa si sprofonda nel cuore della montagna e agli artisti è affidato il compito di recuperarlo alla visibilità. Di restituirlo alla gente che ha pagato per la sua costruzione ma per i quali non era stato costruito.

È così piacevole chiacchierare con Renata Poljak di Spalato (www.renatapoljak.com), presente con il video Staging Actors/Staging Beliefs del 2011, e con Danica Dakic di Sarajevo, che nella stanza della moglie di Tito pone una foto della propria madre (e pensare che Jovanka, la moglie di Tito, sarebbe stata l’unica donna nel bunker!), infine con Dalibor Martinis di Zagabria con un video che parte da una registrazione bianco e nero delle dimostrazioni del 1945 dopo la liberazione della Jugoslavia dai Nazisti. Poi commentiamo i lavori di Adel Abidin del Pakistan, del gruppo Autopsia di Novi Sad, la installazione sonora di Paul Devens di Maastricht, che traccia su un grafico i rumori delle montagne, che poi registra su un vecchio vinile LP.
Torniamo tutti insieme a Sarajevo, la sera Devens fa un concerto ed il giorno dopo c’è una interessante tavola rotonda. L’atmosfera che si respira è di una estrema semplicità e cordialità e questo ci dà la forza di raccomandare a tutti di seguire il nostro esempio e partire alla volta della scoperta della II Biennale di Sarajevo. La Biennale sarà aperta fino al 26 Settembre 2013 il lunedì, mercoledì e venerdì. Ci suggeriscono di prenotare con due giorni di anticipo e organizzare la visita guidata ed il trasporto chiamando il numero +387.36728123.

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