Disequilibriamoci, per trovare un senso

di - 3 Febbraio 2015
I progetti e le opere di Ugo la Pietra sorprendono per l’anticipo che hanno e provocano nostalgia per la tenacia utopica. È storia passata? Forse. Ma sarebbe meglio aggiornarla, magari, si esce dalla bassa pressione culturale odierna.  (“Progetto Disequilibrante”, a cura di Angela Rui,  Triennale – Milano fino  al 15 Febbraio. Catalogo, Corraini Edizioni).
La sua ricerca di libertà nell’opposizione e nel disequilibrio delle regole è toccata dalla grazia della spontaneità. Riaffiorano comportamenti e aspirazioni che negli anni ‘60/’70 erano il sale e lo zucchero delle ricerche creative, sociali, culturali. La Pietra ci avverte di come fossimo a un passo da una effettiva rivoluzione del rapporto tra le persone e le cose, e di come quelle proposte siano poi  defluite  in contraddizioni globali a catena, difficili da interrompere.
Mentre scrivo, la tragedia parigina di Charlie Hebdo è ancora impressa nella memoria e la difficoltà di trovare un “disequilibrio” per uscire dalla specularità critica, è quasi insormontabile.
Penso all’installazione di La Pietra Verso il Centro. Durante il Natale 1972, in piazza Duomo a Milano aveva proiettato su grandi schermi le periferie che si andavano sviluppando. Il centro della città incorpora le tensioni culturali, che provenivano dai movimenti per le case occupate, dalla cultura underground, dai centri sociali. Periferie anche allora complesse, ma dove si esprimeva il desiderio di interrompere gli schemi di “espulsione”. Oggi nelle periferie, sempre più dilatate e disumanizzate,   le voci sono diventate “inudibili”.

Eppure La Pietra non aveva intercettato una fiaba, ma una reale richiesta  di spazi di intersezione, dove  mettere in pratica la sua regola, Abitare è essere ovunque a casa propria. Aveva ragione e, con disegni, progetti, immagini, performance, ci ha raccontato una possibilità effettiva, tanto più realistica quanto più le sue proposte toccavano il limite tra agire  e immaginare un comportamento.
La sua riconversione degli oggetti urbani sono flash che toccano così da vicino la fantasia individuale da sentirli già pronti per l’uso: la latrina trasformata in letti a castello, il tavolino creato con due basi di cemento, l’altalena /amaca tesa tra due pali per insegne. Insomma in quell’ironia e in quella industriosa trasformazione di oggetti urbani, spesso in disuso, appare l’attrazione per l’artigianato a cui ha dedicato un grande lavoro, ma anche una creatività allo stato puro, quando una forma nasce  direttamente da ciò che c’è attorno, rimpastandolo come si fa in cucina con pochi avanzi.
Non era una un semplice racconto inventivo, ma un avvertimento per non ridurre lo spazio  urbano, mentale, politico, a una gerarchia piramidale, sulla quale o si sale o si scende. Può sembrare un sogno irrealizzabile, ma è un pensiero alto col quale tuttora fare i conti.

Questa mostra è un omaggio doveroso a un grande artista che ha spinto la sua ricerca nella consapevole contaminazione di diversi linguaggi, disegno, architettura, scultura, pittura mettendoli a contatto con i cambiamenti scientifici, tecnici allora in atto.
Oggi la tecnica offre oggetti dove l’immersione che lui ci faceva provare fisicamente  è meccanica. I suoi spazi molecolari, come lampade, o campane da cui individuare prospettive, il Commutatore (1970) che con le sue inclinazioni indicava varie prospettive, sono sostituiti da mezzi come internet, facebook, youtube, che sviano verso la comunicazione. Ma l’utopia di La Pietra è ancora necessaria. In mostra c’è una piccola stanza, la cui parete di fondo è fatta da una gigantografia, da soffitto a pavimento, di una strada urbana che ci fa vivere la città che entra a casa propria.
Cosa possiamo trarre da questa visione dello spazio progettuale inteso come un insieme di intuizioni personali, oggetti, raccolte di ceramiche, design di mobili,  architetture inclinate, letti come cellule abitative? Possiamo utilizzare queste  trasgressioni rispetto alla funzionalità di case e cose per intervenire in un mondo globale, dove tutto è a contatto, ma dove non abbiamo le parole per orizzontarci nell’attuale disequilibrio dei conflitti attuali?

Le aggressioni dell’ “IS”, ci avvertono di una guerra asimmetrica con l’Occidente, ma come trovare una risposta non speculare, appunto disequilibrata? L’Occidente  non può  trascinarsi sulla disparità tra centri e periferie, dove le periferie sono sempre più drammatiche e dove i centri sono invece segnati da Architetture monumentali, stupefacenti in cui è difficile collocare la fotografia di Ugo La Pietra appoggiato sul piano inclinato del suo Commutatore, o le sue panchine (Decodificazione dell’ambiente, 1972) in cui sulle spalle di due persone c’è scritto A + B.
Roma e la mafia capitale per qualche settimana ci hanno fatto vedere in tv il disastro di quei luoghi, ma anche le banlieu parigine non stanno meglio. Forse quando, almeno nella mente, penseremo di proiettare davanti al Duomo di Milano, la vita di quegli spazi dove non ci si può sentire a casa, forse allora quel processo, così tanto auspicato, di dialogo tra differenze potrà essere un tassello per la difesa della libertà di espressione.
Speriamo che questo omaggio a Ugo La Pietra, oltre a  un bel gesto di riconoscimento artistico, stimoli a disequilibrare il modello statico della disuguaglianza.
Francesca Pasini

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