La cura della bellezza

di - 23 Novembre 2015
Sei mesi di corso (iscrizioni aperte per altri pochi giorni, fino al 10 dicembre, www.fondazionefotografia.org/formazione/corso-curatori/), per diventare curatori dell’immagine. Lo mette in calendario Fondazione Fotografia di Modena, realtà che negli ultimi anni non solo ha promosso alcune delle migliori mostre in Italia legate all’obiettivo, ma ha anche contribuito a formare come scuola una serie di giovani talenti che oggi spesso scopriamo essere presenti in mostre, premi e quant’altro. E allora, forse, c’è da riconsiderare qualche punto, anche in barba a chi pensa che concorsi, master, e perfezionamenti vari servano a ben poco. Ne abbiamo parlato con Claudia Fini (nella foto sopra), responsabile del corso della Fondazione modenese.
Partiamo da un punto fondamentale. Se si indice un corso per “curare” la fotografia ciò significa che non si tratta della stessa cura che invece necessita la pittura, l’installazione o l’architettura. In che cosa si differenzia l’approccio?
«Nonostante sia a pieno titolo un’arte contemporanea, la fotografia possiede una sua storia parallela e specificità che la rendono ancora oggi una disciplina ibrida, da un lato inserita a pieno titolo in ambito artistico e dall’altro proiettata verso realtà differenti che spaziano ad esempio verso il giornalismo, l’analisi sociale o la comunicazione. Per questo – soprattutto nel periodo storico così sovraccaricato di immagini in cui viviamo – è fondamentale che chi approccia questa disciplina come curatore sviluppi le competenze per comprendere e sfruttare consapevolmente le numerose implicazioni offerte da questo linguaggio visivo. Nel corso vengono inoltre affrontati tutti gli aspetti pratici del trattamento delle opere, dalla conservazione alla presentazione allestitiva, alla circolazione nel mercato – questioni che in parte si sovrappongono alla consueta gestione delle opere artistiche ma che vengono qui analizzate nella loro specificità».
Uno dei moduli del corso riguarda l’editoria. Che fare oggi visto che la carta stampata è in crisi e le piattaforme digitali hanno dimostrato di essere meno efficaci, anche a livello di conservazione, dei vecchi libri/saggi/cataloghi?
«Nonostante la crisi generale dell’editoria in realtà negli ultimi anni assistiamo a un rinnovato interesse per le pubblicazioni fotografiche, grazie anche alla sempre maggiore diffusione di libri d’artista, spesso self published e veicolati come vere e proprie opere d’arte. Del resto, quella del libro è una forma di presentazione che appartiene alla fotografia fin dalle origini ed è necessario per un professionista che lavori in questo ambito conoscerne le caratteristiche e il linguaggio. Nel corso si trattano anche aspetti di editing che sono fondamentali non solo per la curatela di cataloghi di mostra e pubblicazioni artistiche ma per la costruzione di ogni presentazione e racconto attraverso le immagini».
Modena, con Fondazione Fotografia, è forse la migliore “piazza” in Italia dove poter studiare questa disciplina. Come si è arrivati a questa alta offerta formativa?
«Quello che contraddistingue la nostra struttura è il fatto di non essere soltanto una scuola ma soprattutto un centro che lavora ad ampio raggio sull’immagine, con un programma di mostre internazionali e un’importante collezione fotografica. Studiare a Fondazione Fotografia significa vivere il sistema dell’arte e della fotografia dal suo interno, avendo la possibilità di lavorare a diretto contatto con le opere, di incontrare i protagonisti – artisti, critici e le tante personalità che gravitano intorno alle nostre attività – e di sfruttare le ampie reti di contatti per costruire nuove relazioni».
Sfatiamo un mito: visto che la fotografia si può “vedere” proprio sui libri qualcuno potrebbe pensare che basti un volume per conoscerla: quanto è invece importante frequentarla frontalmente in musei, fiere, mostre?
«Guardare un’opera fotografica originale spesso cambia completamente la prospettiva dell’immagine e in taluni casi trasforma e completa il significato dell’opera – penso non solo alle impressionanti immagini fuori scala di Andreas Gursky o Thomas Struth, ma anche ad opere più contemplative, come quelle di Hiroshi Sugimoto, dove ogni dettaglio, dalla stampa al montaggio all’illuminazione, è portato all’estrema perfezione. Non si possono infatti eludere gli aspetti allestitivi, dei quali si acquisisce consapevolezza solo con una frequentazione attenta e uno sguardo critico – non dimentichiamo che cattivi allestimenti rovinano completamente anche i lavori dei più grandi maestri».
Anche rispetto al medium fotografico si sono sviluppate nell’ultimo decennio dozzine di fiere, esposizioni, biennali, rassegne e chi più ne ha più metta, che hanno confuso le acque a dato ufficialità (anche solo temporanea) a episodi piuttosto marginali. Come riconoscere la differenza e come “difendersi”?
«La migliore strategia resta sempre quella dell’esperienza, tesa alla maturazione di un proprio spirito critico e di un’etica professionale: visitare sia i luoghi più istituzionali e qualitativamente riconosciuti sia le realtà più giovani consente di notare le differenze e distinguere le realtà più serie da quelle improvvisate. Cosa osservare? L’accuratezza degli allestimenti e della modalità di presentazione, la coerenza della proposta curatoriale, la serietà nella scelta e nel trattamento degli artisti (e il rispetto per il loro lavoro), fattori che possono trovarsi anche in contesti più piccoli e inaspettati. Un esempio? Il festival di alta montagna Alt.+1000, che ogni estate trasforma il minuscolo paesino svizzero di Rossinière con mostre diffuse, eventi e residenze d’artista».  
Qual è la domanda fondamentale che chiunque dovrebbe farsi quando guarda una fotografia?
«Nonostante la sua immediatezza, la fotografia – soprattutto se ben riuscita – stratifica numerosi piani di lettura e messaggi comunicativi che coesistono al medesimo tempo: mostra visivamente una situazione, reale o costruita, chiama in causa emozioni, allude ad immaginari che fanno parte della realtà quotidiana, della cronaca, del nostro inconscio. La domanda quindi è duplice: da un lato cosa racconta l’immagine in sé e dall’altra cosa l’autore sta cercando di comunicare. La forza di una grande fotografia sta nella coerenza di tutti questi diversi livelli, che spesso si arricchiscono di ulteriori rimandi non necessariamente già preordinati in partenza dall’autore».
Che consigli si sente di dare a un giovane che si avvicina all’idea di lavorare con questo mezzo, sia nelle vesti di artista o come critico?
«Mantenere sempre viva la propria curiosità e la consapevolezza di dover essere i primi promotori del proprio lavoro. Non scoraggiarsi per un progetto che non va a buon fine, ma mettersi subito a lavorare sui tre successivi. Non basta una buona idea per trasformarsi in artista o in curatore ma serve un lavoro costante, accurato, basato su competenze, ricerca e forte determinazione».

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