Lo studio è paesaggio

di - 20 Novembre 2017
Non lontano da Montelupo Fiorentino, nel cuore della Toscana, sorge il nuovo atelier dell’artista Marco Bagnoli (1949). Immersa nel verde e circondata da oliveti e vigneti, la grande struttura, inaugurata a maggio, si inserisce nel contesto territoriale e ne è parte integrante in continuo dialogo con esso.
Il progetto architettonico di Toti Semeraro è stato concepito a stretto contatto con l’artista: racchiuso da un muro che ne delimita il perimetro, l’atelier si propone con un continuo alternarsi di vuoti e di pieni, passerelle, rampe, terrazze e finestre all’interno dei quali sono sistemate le opere di Marco Bagnoli. Cuore del progetto, il “punto energetico”, è un cubo di mattoni e lastre di pietra serena, Altare (1994), creato per la basilica di San Miniato al Monte a Firenze, posto al centro della corte centrale la quale, attraverso un grande loggiato, si apre sul paesaggio.
La sensazione è che la struttura sia nata intorno alle opere quasi a volerle contenere, a creare un percorso che proponga differenti e insoliti punti di vista, dall’alto, dal basso, di sbieco…
Visioni che cambiano, adesso grazie al trascorrere delle ore e quindi al variare della luce, dall’alternarsi delle stagioni e dalla mutevolezza dei colori; sulla lunga distanza interverrà anche la natura a modificarne l’aspetto poiché il muro perimetrale è realizzato – come spiega l’architetto Toti Semeraro – «Con un impasto di terre e pozzolana steso su un sottofondo di giunchi intrecciati e parzialmente bruciati, ha il colore della terra, una pelle viva, mai uguale nel tempo, che seguirà il lento degrado del giunco, supporto ideale per la vegetazione che man mano lo sostituirà, foglie, fiori e perché no frutti…».
Atelier Marco Bagnoli, 2016, Sonovasoro, 1997-2016
L’atelier-opera di Marco Bagnoli insomma nasce nella natura con l’intento di essere nel tempo riassorbito dalla natura stessa. Un’opera in progress, mai definitiva ma in espansione nella quale i dettagli sono una componente essenziale. Il “non finito” non deve quindi essere concepito come uno stadio di arresto ma come un’apertura verso qualcosa che deve ancora avvenire. L’idea è, dunque, quella che con il tempo l’architettura lasci solo una traccia e che non impatti in modo violento con l’ambiente circostante.
Dopo l’approvazione del progetto di fattibilità da parte del Comune di Montelupo nel 2009 il percorso intrapreso per la realizzazione dell’atelier è stato piuttosto lungo e complesso; grande attenzione è stata posta ai materiali e all’utilizzo dei criteri di sostenibilità come l’impiego del legno per la struttura portante e per i rivestimenti esterni. A questo vengono poi associate la pietra, l’argilla e le fibre naturali.
È prevista anche, in un secondo momento, la realizzazione di un percorso ipogeo sotto la collinetta retrostante l’edifico con una sorta di “passeggiata architettonica” che non sottragga più spazio alla natura.
L’atelier fortemente voluto da Marco Bagnoli integra il suo concetto di opera scenica intesa come opera d’arte che si inserisce compiutamente sulla scena creando una diretta partecipazione dello spettatore. Un contesto-opera, quindi, un contesto non convenzionale entro il quale il fruitore si muove e agisce. Elemento fondante dell’opera scenica è che l’architettura dello spazio sia concepita in funzione dell’opera che deve accogliere.

Atelier Marco Bagnoli, 2016, La Parola 2011-2016, e inserimento architettonico di Goccia, 2000-2016

All’interno di questo “contenitore” avvolgente e coinvolgente, di un museo che si costruisce architettonicamente con le opere d’arte, aleggia uno stretto rapporto con la scienza: è qui che si incontrano appunto le creazioni di Marco Bagnoli che non sono distribuite con criteri filologici ma per accostamenti e sintonie. Una carrellata ben calibrata che mette in evidenza tutti gli stilemi che ricorrono nella produzione artistica del maestro empolese esemplificando anche le differenti tecniche che Bagnoli ha di volta in volta utilizzato, bronzo, acciaio, legno, marmo, terracotta, ecc.
Si trovano quindi le “mongolfiere” con le loro strutture essenziali, le “parabole”, i “vasi”, i “dormienti” e i “quinconce” che come suggerisce Pier Luigi Tazzi «La “X” del Quinconce rappresenta la contrazione finale della formula Spazio x Tempo e della sua derivata IOXTE che ricorre in molte sue opere. Essa si prospetta come modello di una continua espansione: ciascuno dei quattro punti estremi della X di un quinconce può divenire infatti il punto centrale di un nuovo quinconce all’infinito».
Lo spazio dell’atelier, pluriarticolato è sede anche dell’Associazione Spazioxtempo nata con lo scopo di creare una sinergia tra arte, impresa e territorio, mentre in campo più propriamente artistico si propone di approfondire la problematica del “fare arte” oggi e il concetto di opera scenica.
Enrica Ravenni

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