MANEGGIO, MA CON CURA

di - 6 Ottobre 2010
Se avessimo a che
fare con zucchine o melanzane staremmo parlando di filiera, ossia il percorso
che i prodotti ortofrutticoli seguono per arrivare ai banchi del mercato o agli
scaffali del supermercato. Ma Exibart si occupa di arte e in questo campo (inteso non in senso
agricolo) manca una parola che indichi il passaggio di un’opera dallo studio
dell’artista al magazzino dove viene conservato, fino al museo o alla galleria
dov’è esposta.

Non esiste nessuna
definizione per il semplice motivo che questo passaggio è nascosto agli occhi
dei più. Per la stragrande maggioranza dei fruitori d’arte, le opere è come se
esistessero solo al momento dell’esposizione, quasi che nascessero direttamente
negli spazi che le ospitano.

Questa percezione è
presente in qualsiasi mostra al mondo, ma non in Handle with Care, la collettiva curata da
Alessandro Carrer e Bruno Barsanti che dà il via al progetto di Arte E’ e che da domani (inaugurazione
alle ore 18.30) fino a domenica è visitabile nel magazzino di Arte in
movimento
, una
delle più importanti aziende italiane nel trasporto di opere d’arte.

I lavori di Domenico
Borrelli
,
Alessandro Bulgini
,
Filippo Centenari
,
Maddalena Fragnito De Giorgio
, Paolo Grassino, Luigi Mainolfi, T-yong Chung e Saverio Todaro saranno allestiti in un luogo normalmente interdetto ai
non addetti ai lavori. Qui divideranno lo spazio con transpallet, muletti,
trapani, avvitatori, seghe circolari, pialle e le casse delle opere in transito
e di quelle in deposito.

Lo spirito del
luogo è ben diverso da quello di un museo
”, spiegano i curatori. “Non ci sono riflettori,
le opere sono esposte ‘nude’, in un limbo che sta fra lo studio degli artisti e
i musei o le gallerie e che è sempre nascosto agli occhi degli spettatori. In
questa terra di nessuno l’arte diventa merce, una ‘svalutazione’ che fa
riflettere sulla natura dell’aura artistica e fa nascere la domanda su quale
sia la differenza tra una cassa di legno e l’opera che c’è dentro
”.

Handle with Care è un gioco semiotico, una
metamostra meta-artistica: una mostra sul mondo delle mostre che riflette sull’arte
partendo dall’arte stessa. Roba da Umberto Eco, insomma, che però non richiede
tomi critici; anzi, non ne prevede nessuno perché, come spiegano Alessandro
Carrer e Bruno Barsanti, “nei musei l’importante è l’interpretazione, con
spesso i critici e i curatori che impongono la loro su quella del pubblico. Nel
magazzino, invece, quello che conta è l’informazione: quanto pesa, quanto è
grande, dove deve essere spedita. In un certo senso si dovrebbe tornare a dare
più informazioni sulle opere d’arte e meno interpretazioni. Questa mostra vuol
fare proprio questo, dare allo spettatore totale libertà di interpretazione
”.

Il secondo scopo di
Handle with Care
è, come già detto, presentare Arte E’. Un progetto, spiega Paolo Braggio che l’ha ideato, “nato
dalla passione per l’arte e dall’esperienza accumulata in vent’anni alla Züst
Ambrosetti, dal 2006 portata avanti in proprio con ‘Arte in Movimento’
. Arte E’ sarà una società
indipendente da quella nata quattro anni fa e si occuperà dell’organizzazione
di eventi culturali proponendo a musei e fondazioni mostre di cui forniremo
tutto, dall’allestimento alla curatela, fino all’ufficio stampa e alla
realizzazione del catalogo
”.


La mostra, che ha
il doppio scopo di far riflettere sul significato dell’arte e far vedere ciò
che Arte E’
può fare, sarà ospitata a novembre negli spazi del Salone dell’Arte e del
Restauro di Firenze, mentre è ancora in forse una sua tappa a Roma.

Visto che i giorni
per visitare Handle with Care sono solo tre, il consiglio è solo uno: non perdetevela.

stefano riba


dal 7 al 10 ottobre 2010

Handle with Care

Arte
in Movimento

Via Reiss
Romoli, 122/9 (zona Madonna di Campagna) – 10148 Torino

Orario:
venerdì ore 18.30-21; sabato e domenica ore
12-21

Ingresso
libero

Info: tel. +39 3475811400; info@arteeartee.it; www.arteeartee.it

[exibart]

Visualizza commenti

  • Genoveffa, a Casalpusterlengo avete l'occhio lungo.. qui, già da un po', è tutto un cicaleccio ininterrotto fra 3/4 personaggi (più i loro 'satelliti'..), solo fra di loro, gli altri non contano, è una specie di circolo molto esclusivo, che occupa quasi tutti gli spazi, spesso con commenti fluviali, facendo deragliare la discussione sempre verso i 'loro' temi.
    alla fine scappa davvero la voglia di leggere.

  • @Savino:
    cito: "l'interpretazione e la comprensione di un opera d'arte è estremamente difficile". Non vorrei si facesse confusione. Quando parli di "interpretazione" e di "comprensione" mi pare tu ti riferisca ai contenuti concettuali dell'opera; ma questi contenuti sono cosa ben diversa dagli aspetti ontologici su cui mi ero concentrato. Insomma mi pare che parliamo di cose diverse :)

    Ad ogni modo, "l'ambiguità" di tali contenuti - ambiguità che a te pare di scorgere (così mi sembra di capire...) - che renderebbe difficile la comprensione di un'opera d'arte, mi pare sia l'effetto di una mal coscienzializzata identità dell'opera d'arte in quanto tale: cattiva consapevolezza che finisce col ridurre il linguaggio artistico (concordi con me sul fatto che l'arte sia un linguaggio?) a linguaggio comune. Questa riduzione è evidente nel tuo ritenere opportuno "un supporto o testo, a dare una spiegazione o a rendere meno ambiguo il messaggio, e quindi renderlo, forse, comprensibile anche ai non addetti ai lavori".
    Se, formalmente, tutto può essere arte, l'artisticità andrà ricercata altrove: nei contenuti concettuali, per es.? Se siamo d'accordo su questo, il passo successivo sarà distinguere i contenuti concettuali di un linguaggio artistico da quelli di un linguaggio non artistico; mi pare ovvio.
    Quello che io sostengo, a questo punto, è che l'unica possibilità di distinguere stia in una qualche modalità d'uso dei segni all'interno dei diversi linguaggi (artistico e non-artistico); in cos'altro, altrimenti? Ora, se tu mi dici che, per il linguaggio artistico, servono "supporti o testi a rendere comprensibile il messaggio", tu tratti quel linguaggio come un linguaggio comune; linguaggio in cui il fruitore è tenuto a recuperare il significato che chi ha prodotto il messaggio vi ha inserito (aiutato, appunto dai supporti di cui parli); e cercherò, nuovamente, di spiegare perché:
    La possibilità di recuperare il significato di sui sopra è data dal fatto che ogni individuo, in un dato contesto socioculturale, condivide con altri l'associazione di taluni significati a taluni segni. Per tale tipo di condivisione, "figlio di puttana!" è oggettivamente un'offesa; chi produce quel messaggio lo sa, ed è per questo che se noi lo riceviamo - in un CONTESTO NON ARTISTICO - siamo legittimati a denunciare chi ce lo ha inviato; a meno di non ridurre tutto a uno scherzo, ovviamente. Tale oggettività semantica, a mio parere, è ciò che viene meno nei CONTESTI ARTISTICI, e non perché il messaggio sia formalmente ambiguo, ma semplicemente perché l'uso di tale messaggio diviene POLISEMICO; cioè a dire che ognungo di noi è libero di significarlo al di là delle intenzioni, culturalmente condivise, di chi lo ha emesso. E' per questo che - in un contesto artistico - non saremmo più legittimati a denunciare chi, eventualmente, ci urlasse improperi vari (cosa che è avvenuta recentemente ad ArtBasel, se non sbaglio... :). Ed è per questo che condivido ciò che affermano Carrer e Barsanti: "nei musei l’importante è l’interpretazione, con spesso i critici e i curatori che impongono la loro su quella del pubblico. Nel magazzino, invece, quello che conta è l’informazione: quanto pesa, quanto è grande, dove deve essere spedita. In un certo senso si dovrebbe tornare a dare più informazioni sulle opere d’arte e meno interpretazioni. Questa mostra vuol fare proprio questo, dare allo spettatore totale libertà di interpretazione”.

  • @Cristiana:
    Cara Cristiana, ammetto che sentir parlare di "valore mitico" un po' mi spaventa... Non vorrei scivolare lungo una deriva soggettivista: una definizione d'arte, insomma, in cui i parametri di attribuzione di identità non siano oggettivabili. Quello che mi interessa, in effetti, è individuare un'ontologia culturalmente condivisa tale da fornire una qualche ragion d'essere al termine "arte" che, come tutte le parole, se occorre in una lingua, un significato condiviso deve necessariamente averlo; diversamente, infatti, la comunicazione tra i parlanti sarebbe impossibilitata.
    Spero comunque che avremo modo di approfondiere meglio la questione, proverò senz'altro a contattarti via mail. A presto...

  • Caro Svelarte, il termine "valore mitico" proviene dall'antropologia classica (i miei antichi studi..) che io uso forse un po' troppo spavaldamente. Sono in realtà sul tuo stesso binario di ricerca. Basta intendersi sulle parole. E quattro righe intervallate da pause, un po' qua un po' là, non sono esattamente ciò che si intende per ragionamento logico ben strutturato e, sopratutto, dialogo. Senza alcuna offesa per alcuno, beninteso. Anzi, è un piacere poter scoprire interventi interessanti anche in un posto dove le notizie incalzano frenetiche come questo. Se avrai piacere, ci saranno anche occasioni per approfondire i nostri e altrui punti di vista in luoghi determinati. A quando vorrai... un saluto e grazie per la tua cortesia

  • vi dico io cos'è l'arte:
    Esiste uno strumento musicale africano chiamato djembè, tamburo formato da un calice in legno ricoperto da una pelle di capra.
    Si suona percuotendo ritmicamente la pelle con le mani. E'uno dei primi strumenti mai costruiti, quindi molto semplice,
    apparentemente anche molto semplice da suonare, ma non è così. Ad un primo approccio con lo strumento i movimenti delle mani
    appaiono impacciati. Con un po'di tempo, esercitandosi, man mano che la confidenza con lo strumento aumenta, i movimenti diventano
    più fluidi e il suono migliora. Per suonare bene questo strumento occorrono molte ore di pratica. Maggiore è il tempo dedicato
    a percuotere la pelle, maggiori sono i risultati ottenuti a livello tecnico. Esercitandosi ancora e ancora si ottiene una certa
    padronanza dei movimenti e si smette di pensare a come migliorarsi, ci si sente rilassati e non si pensa più alla tecnica.
    Continuando a suonare si impara poi ad effettuare delle variazioni ritmiche, più o meno complesse, a seconda delle capacità,
    della volontà e del talento. Continuando ancora a suonare vi capiterà inaspettatamente, di accorgervi che le vostre mani si muovono
    in maniera totalmente estranea alla vostra volontà. Da quel momento in poi state diffondendo ARTE sotto forma di onde sonore.

  • Scusami Genoveffa, capisco la sua uterina invidia nei confronti di Savino. Lo conosco molto bene. Non mi risulta che abbia un club femminile e che soffra di senilità precoce. Forse, lei nella vita si annoia? Allora le consiglio di giocare a scacchi...

  • Svelart
    Se nel magazziono di spedizioni pesa l'informazione, mi domando: che senso ha discutere sull'interpretazione dell'arte?

  • Allora, ha ragione savino quanto afferma che l'arte non è una categoria definita, ma ambigua, suscettibile di diverse interpretazioni, o strutture concettuali, che stabiliscono le basi dell'opera stessa.

  • @Mauel:
    La tua domanda non è chiara. In effeti non credo di aver capito che intendi per "interpretazione dell'arte", e nemmeno di aver ben chiara la consecutio che poni tra le informazioni date nel magazzino e il "senso" (in che senso "che senso ha..."?) della discussione su ciò che chiami, appunto, "interpretazione dell'arte".

    Proverò a intuire ciò che mi stai domandando...

    Se per "interpretazione dell'arte" intendi l'attività critica di significazione sulla singola opera d'arte, allora dell'"interpretazione dell'arte" non sono mai entrato specificamente nel merito. Se invece per "interpretazione dell'arte" intendi l'operazione ontologica di attribuzione di identità artistica, ossia quella riflessione che cerca di scoprire dove risieda l'artisticità di ciò che noi chiamiamo arte, allora ci siamo. Tuttavia, a questo punto, chiamiamo le cose col proprio nome: non "interpretazione dell'arte", ma "statuto ontologico dell'arte", così è più semplice capirsi.
    Del resto, anche il nesso di cui sopra - tra le informazioni fornite nel magazzino e il senso (anche qua vai a capire che intendi per "senso", forse "l'utilità"?, boh...) di una riflessione sull'ontologia dell'arte - non mi è chiaro... Quello che posso dirti (sperando sia ciò che vuoi sapere) è che fornire informazioni sugli aspetti sensibili degli oggetti esposti - quindi: peso, forma, proprietà fisiche ecc. - e non interpretazioni sul significato degli oggetti stessi è coerente con la teoria ontologica che ho presentato. In tal modo, infatti, si salva quel carattere polisemico che, a mio avviso, potrebbe essere fondativo di artisticità e, al contempo si aiuta il fruitore a interpretare l'opera secondo tutti i suoi possibili significati - giacché dell'oggetto si racconta tutto dal punto di vista fisico ma non dal punto di vista semantico.

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