Alessandro Bulgini, Neverland Gaza, 2025, Flashback Habitat, Torino
Un tappeto, una sedia, un fornelletto da campo. Oggetti minimi, quotidiani, silenziosi ma densi di storie, offerti da mani diverse, per riscoprire l’importanza di un rito collettivo e intimo al tempo stesso, che diventa simbolo di persistenza dell’umanità anche nelle situazioni al limite. Da qui prende forma Neverland Gaza, la nuova installazione di Alessandro Bulgini che sarà presentata giovedì, 17 aprile 2025, nella zona solitamente inaccessibile di Flashback Habitat, a Torino. Due appuntamenti notturni alle ore 20 e alle 21, a numero chiuso, per attraversare in silenzio uno spazio trasformato in paesaggio emotivo, per abitare con lo sguardo una soglia sospesa tra arte e testimonianza.
Da sempre interessato alla marginalità e alle forme di resistenza invisibili, Bulgini costruisce qui un ambiente raccolto che si nutre dell’empatia e dello scarto ma in chiave antinarrativa, per assottigliare la distanza tra operazione artistica e reale. «L’opera non descrive, non commenta, non comunica, non tratta un tema: lo vive, lo attraversa, ne fa esperienza. E quel qualcosa, a quel punto, non è più un tema. È la realtà», scrive Christian Caliandro nel testo che accompagna il progetto.
L’opera di Bulgini si ispira a un gesto tanto semplice quanto sovversivo: il tè tra le rovine di Gaza durante il Ramadan. In quell’atto reiterato nei contesti più estremi, Bulgini riconosce un’eco di resistenza poetica. Non c’è spettacolarizzazione del dolore – già basta la sovraesposizione mediatica – né volontà documentaria, che pure, fortunatamente, non manca: Neverland Gaza è piuttosto un invito a sentire attraverso altri mezzi e, quindi, rallentare, sostare, entrare in relazione con il non-detto. È un’opera che si offre allo spettatore come possibilità di prossimità, come forma di ascolto radicale.
Collocata nello spazio non pubblico di Flashback Habitat – luogo per vocazione dedicato alla sperimentazione e alla cura del tempo artistico – l’installazione agisce come una fenditura nella narrazione. Tra tappeti usurati, luci fioche e oggetti che sembrano galleggiare nel vuoto, prende corpo un altrove fragile ma concreto: Neverland non come fuga ma come promessa, non come illusione che svanisce ma come soglia da percorrere.
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