Gioele Dix in: Il mio Gaber. Inediti e altre note. Courtesy ITsART
Nel 1970, poco più che trentenne, Giorgio Gaber stava ottenendo un grande successo televisivo e discografico, ma si sentiva ingabbiato in un ruolo che non gli apparteneva. Il desiderio di trovare una nuova forma espressiva lo portò a creare il teatro-canzone, struttura unica che definirà il suo stile per sempre.
Quel Gaber, dissacratore di miti e mode, provocatorio e pungente, torna in occasione del ventennale della scomparsa del grande artista, su ITsART con il documentario “Gioele Dix in: Il mio Gaber. Inediti e altre note“, con la regia di Michele Mally e sceneggiatura di Paola Jacobbi, tratto dallo spettacolo “Gioele Dix. Inediti di Gaber e Luporini”, andato recentemente in scena al Piccolo Teatro di Milano.
ll documentario segue la prova generale, in cui Dix, con Silvano Belfiore al pianoforte e Savino Cesario alla chitarra, tra un brano e l’altro, ci racconta la storia del ritrovamento di quei testi e delle scelte fatte. Le immagini sono accompagnate da una serie di interviste, con ricordi e curiosità sul mondo di Gaber e le sue creazioni. Intervengono, tra gli altri: Dalia Gaber e suo figlio Lorenzo Luporini, il musicista Paolo Jannacci, Paolo Dal Bon della Fondazione Gaber, l’attrice Maria Amelia Monti, il drammaturgo Edoardo Erba, lo scrittore ed enigmista Stefano Bartezzaghi, Emma Bonino, il giornalista Andrea Scanzi.
Dix, artista anch’egli milanese, ha scoperto il Signor G da ragazzino. Da subito lo colpì una faccia simpatica che, in mezzo a un mare di cantanti tutti simili tra loro, raccontava le storie di una Milano sottotraccia, con i trani a gogò e i Riccardi che giocavano a biliardo. Già nel 2004, Dix è stato il primo a riprendere il teatro-canzone e da allora ha dedicato numerosi omaggi a Gaber. Oggi, Gioele Dix racconta e omaggia, insieme ad altri amici “gaberiani”, la sua passione.
«La scoperta del teatro, cioè di un mezzo che mi consentiva di dire quello che pensavo tramite il mio mestiere, è stata di enorme importanza», ha raccontato Gaber. «Le due ore di spettacolo, per esempio: guai se fosse un quarto d’ora, perché io ho problemi di sblocco iniziale, di accostamento a quella spudoratezza che ogni artista credo debba avere, e che a me arriva man mano che vado avanti, perché all’inizio dello spettacolo io scapperei via. Credo di avere, di base, una sorta di chiusura che mi fa quasi dire alla platea: “Scusate, io sono su e voi siete giù, ma è un fatto casuale, succede perché stavolta sono io che devo dirvi qualcosa”».
Insieme al documentario, come ulteriore omaggio al cantautore, è disponibile gratuitamente su ITsART anche lo spettacolo teatrale di Gaber “Far finta di essere sani“.
Monologhi e canzoni per riscoprire quel percorso narrativo con cui Gaber e Luporini, nel 1973, affrontavano i temi universali del disagio sociale e generazionale, puntando l’attenzione sull’essere schizoide dell’uomo contemporaneo. Da una parte pronto agli slanci ideali, dall’altra tenuto a terra dal proprio egoismo e dai finti bisogni materiali.
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