UN ERRORE FANTASTICO

di - 16 Luglio 2015
Al 23 di via Monte di Pietà, a Milano, ad accogliervi fino al prossimo 15 settembre, c’è un ragno “impossibile”, gigantesco e colorato: L’immane RagnoFerro di Curnasco. State tranquilli però, è solo la sua rappresentazione, esempio lampante di cosa può produrre un paziente psichiatrico, se guidato alla creatività e all’arte.
Arte che, tra l’altro, funzionerebbe bene in qualsiasi galleria ben pettinata di New York, Londra o Hong Kong, incline a mettere in scena una produzione legata al disegno. Arte che ricorda le produzioni infantili o degli internati tanto cari alla poetica di Jean Dubuffet, di Antonin Artaud o, avvicinandoci al presente, ai meravigliosi animali in china di Kiki Smith.
Gli autori invece sono i ragazzi dell’Onlus Atelier dell’Errore, che attualmente ha trovato casa tra le mura della Collezione Maramotti, a Reggio Emilia.
Ma di che si tratta, precisamente? Di un laboratorio di Arti Visive progettato dall’artista Luca Santiago Mora per la Neuropsichiatria Infantile (di Reggio Emilia e anche degli Ospedali di Bergamo, dal 2013). Avviato nel 2002, non solo l’Atelier si è rivelato un valido compendio all’attività clinica, ma anche una vera e propria opera d’arte relazionale, in progress, e realizzata grazie alla partecipazione di una serie di utenti che, in alcuni casi, semplici utenti non sono. Già, perché come ci ricorda Marina Dacci – direttrice della Collezione Maramotti e curatrice della mostra milanese insieme allo stesso Mora e a Giovanni De Francesco, «Spiccano, alla fine del percorso, alcune personalità che si possono definire “artisti”, che non solo è necessario tutelare, ma aiutare nel portare avanti questa loro ricerca».

Anche per questo, in effetti, è nato Atelier dell’Errore BIG, dedicato agli utenti che hanno compiuto 18 anni e che, senza questo servizio, con la maggiore età non avrebbero più potuto coltivare il loro talento.
Si tratta di un moda all’indomani della Biennale di Massimiliano Gioni, che due anni fa aveva messo in chiaro che l’arte dei “rifiutati” è una realtà, partendo anche dalla fiera degli outsider newyorchesi, innesco di un nuovo meccanismo del mercato, in grado di fagocitare anche chi ne è (ne era) assolutamente assente? In questo caso siamo su un altro livello: anche se di outsider si tratta, non c’è nulla che tratti di mercato, di circuitazione nel sistema dell’arte, ma di una valorizzazione di un sapere diverso, forse contorto, estremamente affascinante, vitale e senza tabù. E, proprio per questo, degno di essere chiamato “arte”. Anche perché, come detto poco sopra, usa la tecnica più antica e contemporanea, quel disegno che, come ha ricordato anche Francesco Bonami in occasione di un’altra bella mostra milanese, Don’t shoot the painter alla GAM, permette un ristabilirsi dei valori nell’intricato panorama del contemporaneo, tra falsi miti e fuochi fatui.
L’Atelier dell’Errore ci porta, attraverso Uomini come cibo, questo il titolo catartico e “orrorifico” della mostra, in un vortice dove quaranta opere ribaltano le prospettive di Expo 2015 (finalmente!), e dove il cibo è carne umana, divorata in maniera visionaria da un bestiario che è una collezione vera e proprio di fantasticherie sul filo della realtà. «Il riscatto sociale dallo stato di assedio in cui spesso si ritrovano i giovani artisti inizia dall’esorcizzare la paura, lasciando affiorare potenti e immaginifici esseri zoomorfi che divengono i loro protettori o i loro giustizieri», spiegano i curatori.
O, come ha scritto proprio Antonin Artaud, “Nessuno ha mai scritto, dipinto, modellato, costruito o inventato se non, di fatto, per uscire dall’inferno”. Stavolta l’inferno quotidiano viene assemblato semplicemente, con del nastro adesivo che unisce fogli bianchi, nudi o incorniciati da legno chiaro, seguendo le forme di questi animali provvisti, elemento non trascurabile, di informazioni anatomiche che mischiano “surrealismo” e atlanti di medicina.
Sui cinque piani di questo spazio grezzo, insomma, avete la possibilità di avvicinare un’esperienza, un modo di guardare, e anche di capire perché l’Atelier ha scelto di lavorare con due regole soltanto: la prima quella di avere come soggetto da “ritrarre” solo gli animali (reali di base, trasformati in immaginari, poi) e il veto all’uso della gomma da cancellare, come secondo dogma.
Perché l’errore è un valore. Bisognerebbe stamparlo a chiare lettere, nell’epoca dove non è permesso, dove il protagonismo da speaker’s corner dei social media ci ha trasformati in toto nei replicanti “perfetti” della nostra stessa esistenza.
L’errore, naturale, terrorizza perché rovescia piedistalli, fa crollare giganti. E permette di lasciarsi divorare da una serie di animali fantastici, senza opporre resistenza. Crescendo.
Matteo Bergamini

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