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fino al 1.X.2006 | Hirst/Salle/Saville – The Bilotti Chapel | Roma, Museo Bilotti

di - 1 Giugno 2006

Il tema scelto è di quelli che fanno tremare i polsi. L’arte come trascendenza, come vettore di spiritualità, come mezzo di esplorazione del sacro. Un’arte che parla di religione dunque, ma soprattutto di poesia, di elevazione, di estasi, di aspirazione all’immortalità. Una tematica, dicevamo, difficile e controversa, un campo di battaglia sul quale l’arte contemporanea ha spesso fallito -più interessata a dissacrare piuttosto- e che ancora più spesso ha consapevolmente rifiutato. Ma la questione è rimasta viva, latente come un rimosso incancellabile, persino in un’epoca laica e scettica, e persino dopo la fine dei proverbiali grandi racconti.
I tre artisti chiamati dal collezionista Carlo Bilotti a dare forma al trascendentale (le opere in mostra sono state eseguite su commissione) non avrebbero potuto rispondere in modo più diverso l’uno dall’altro. David Salle (Norman, Oklahoma, 1952), rappresentante illustre della schiera di pittori neo-figurativi emersi negli anni Ottanta, risolve l’equazione facendo appello all’opera d’arte sacra per eccellenza: la Cappella Sistina. Nelle grandi tele (un ideale trittico in cui ogni dipinto è a sua volta diviso in due parti ben individuabili) si sovrappongono, com’è tipico della sua produzione, decine di riferimenti. Le scene michelangiolesche, che fanno da partitura di supporto, sono accompagnate da raffigurazioni in stile illustrativo e pop di oggetti, animali, personaggi dei fumetti. In un collage volutamente caotico e ipertrofico, che risucchia l’occhio dello spettatore (non a caso l’anta destra di ogni opera prende la forma vertiginosa di un vortice, in cui la realtà sembra scivolare inesorabilmente). Non mancano gli agganci con la cronaca contemporanea, presente nei riferimenti alle tragedie dei nostri tempi, come lo tsunami -citato coltamente per bocca di Hokusai-, l’alluvione di New Orleans e i conflitti mediorientali.

Se quello di Salle è in fin dei conti un commento in prosa, persino un po’ didascalico, l’intervento di Jenny Saville (Cambridge, Gran Bretagna, 1970) parla invece un linguaggio intrinsecamente lirico, che si inerpica sui toni della tragedia. Atonement Studies, di nuovo un trittico (anche se non viene certo messo in evidenza dall’allestimento, che sparpaglia le opere su pareti diverse, spezzando il nesso comunque fortissimo tra i tre dipinti) è un canto alla sofferenza umana, intesa come percorso necessariamente spirituale e spiritualizzante. Una ragazza cieca, un uomo in un letto d’ospedale e una donna che giace con le mani insanguinate: tre vie diverse al dolore. La pittura che concretizza le immagini -la Saville è sempre, profondamente pittrice– è solida, corposa, anche quando si sfilaccia in pennellate nervose; i riferimenti alla storia dell’arte, seppur non espliciti, serpeggiano un po’ ovunque (come ricorda giustamente Demetrio Paparoni in catalogo, citando Bernini e de Kooning, Caravaggio e Cézanne).
Infine, Damien Hirst (Bristol, Gran Bretagna, 1965). Il corifeo contemporaneo della morte è palesemente a suo agio con il compito del giorno. La tensione tra umano e divino, la sofferenza e soprattutto l’immortalità sono da sempre le sue tematiche privilegiate, sia nelle celebri installazioni che nei recenti quadri a olio. In questo caso, nella girandola di riferimenti, il suo risulta il più convincente. Le quattro opere dedicate agli Evangelisti –abbiamo bisogno di nuovi testi sacri, commenta forse Hirst?- richiamano infatti la spiritualità del colore cara ad Yves Klein (quasi evocato nella tela blu). E calcano la mano con inserimenti materiali di forte evocatività. Pagine del vangelo (le cui parole sono vergate sulle cornici), farfalle, lamette, pillole e crocifissi. Una costellazione di simboli che ha la complessità e la struttura di un codice. E trasporta gli oggetti d’affezione dell’artista inglese, simboli del dolore e della ricerca di riscatto, nella profondità abissale di uno spazio cosmico.

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valentina tanni
mostra visitata il 9 maggio 2006


Dal 10 maggio al primo ottobre 2006
Hirst, David Salle, Jenny Saville. The Bilotti Chapel – a cura di Gianni Mercurio
Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese, Viale Fiorello La Guardia 4, Roma – tel +39 0682059127 / museo.bilotti@comune.roma.itwww.museocarlobilotti.it – Orari: mar_dom 9-19 – Biglietti: € 6,00 intero – € 4,00 ridotto. Catalogo Electa


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  • I De Chirico donati da Bilotti sono tra i più brutti mai visti. Sembra quasi che Bilotti abbia voluto liberarsene senza essere riuscito a trovare qualcuno che li volesse. Le opere di Hirst e Salle non sanno di niente, le uniche cose interessanti sono quelle di Jenny Saville, ma è un'artista che già conosciamo per averla vista al Macro. Insomma questo museo Bilotti, scomodo da raggiungere, sembra abbastanza inutile. Roma ha bisogno di veri centri di arte contemporanea, non di questa roba.

  • concordo sull' orribilante scelta dei de chirico...non sono per niente d'accordo sulle opere di Hirst, Salle e Saville che, se solo conoscessi tali artisti capiresti l'importanza di queste opere, quelle di Hirst su tutte.
    Ti invito a informarti sull'arte contemporanea di artisti ancora in vita.

  • A caval donato....
    Roma si merita moltissimo di piú (un grosso museo di arte contempranea dentro la cittá), comunque ben vengano queste iniziative, purché non disperdano denaro pubblico...

  • Anch'io ho trovato francamente incomprensibile dedicare uno spazio così bello a tutti quei De Chirico (che poi a Roma non c'è una semi-sconosciuta fondazione De Chirico, che fors emerita di essere valorizzata). Bella la mostra temporanea (ma soprattutto le prossime, De Kooning in autunno!!!)...ma la cosa più traumatica(e spero sia successo solo a me) è stato visitare la mostra tra gli schiamazzi e il "casino" dei dipendenti di Zetema che si occupano di controllare le sale...mai sperimentata una situazione del genere in un museo: parlavano a voce alta, si urlavano da una stanza all'altra, alcuni cantavano, ridevano... nonostante le lamentele. Sì, Roma merita di meglio (e non merita Zetema!!).

  • Bellissimi i quadri di Jenny Saville (ricordo di aver visto "Knead" al Correr nel corso della penultima biennale di Venezia che mi lasciò impietrito), grande prova di Hirst (e, a dire il vero, non me l'aspettavo)... pessimo, atroce Salle!

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