Si coglie un afflato mite, un approccio panico a una natura amica. E la sensazione, nello scorrere le opere di
Utagawa Hiroshige (Edo, 1797-1858), di un ritratto cercato, trovato e dunque immortalato. Di un uomo in cima al monte, seduto a valle o in riva al fiume, che trascorre le sue giornate chino su un foglio.
A rendere sensibili sono le inquadrature che l’artista impone, in orizzontale o in verticale, per cui ogni opera è una piccola finestra attraverso la quale guardare. Un video, a metà percorso, mostra l’ardito procedimento richiesto dall’arte
ukiyoe, presentando inoltre, in una teca, gli strumenti del mestiere e i disegni esemplari testimonianti le fasi di lavoro.
Ma veniamo al principio: duecento piccoli gioielli artistici presentati alla Fondazione Roma in un percorso che si snoda in cinque tappe. Ogni settore si colora e viene messo in scenografia coerentemente con i contenuti esposti. Un’esposizione tematica, che lascia aperta una prospettiva diacronica: la storia che si narra è anche quella del Giappone e di Edo, futura Tokyo. Se guardiamo alla scansione del percorso, il passaggio è chiaro: dalla natura, laddove l’artista si sofferma sui paesaggi e sulle creature che la popolano, alla “cultura” proto-urbana di una città in espansione.
Nel mezzo: le vedute spettacolari del monte Fuji, i gorghi di Naruto, la strada innevata Kiso e altre province; e poi in viaggio sulla via da Edo a Kyoto, stazione per stazione, lungo la costa. Qui Hiroshige è artefice di icone che diventano simboli: associazioni di idee fautrici di un messaggio e, fra tutti, l’appartenenza dei giapponesi al loro Paese, un sentimento presente negli innumerevoli scorci da “cartolina”.
I luoghi simbolo arriveranno in Occidente, dove il vedutismo di Hiroshige sarà modello per i primi approcci al mezzo fotografico, in mostra in una sezione dedicata. Il visitatore è immerso nei suoni della natura, che progressivamente lasciano spazio al vociare dei borghi mercantili. L’allestimento scenografico rimedia alcune stampe dell’artista in grande formato e le cala dall’alto, in un gioco d’ombre allusive della folla che popola alcune sue opere. Interessante il tratto grafico, che vivifica l’espressione degli uomini e delle donne ritratti: di chi vende al mercato, di chi passeggia indifferente, di chi gesticola avidamente, di chi esulta per una pesca.
L’inclinazione museale alla didattica infantile si compenetra con quella offerta all’adulto: si trovano così signori di mezza età timbrare le tappe del proprio “viaggio”, in un gioco messo in scena per i più piccoli. A fronte della numerosità delle opere e del ritmo veloce imposto dall’estrema vicinanza dell’una all’altra, l’atmosfera nipponica, dal giardino simulato all’ingresso fino all’abbigliamento a tema del personale in sala, contribuisce a una visione rilassata, stupita e immersa.
L’ultimo tassello del puzzle sta nel rapporto con
Van Gogh, grazie a una riproduzione dei lavori dell’olandese a opera della Rai, a conclusione del percorso. Come un viaggio, la mostra lascia un bagaglio culturale fatto d’incontri, di paesaggi e di storia. Anche qui si conquista un immaginario espanso all’inverosimile, con la fortuna aggiunta di non subire alcun jet lag.