Nel caleidoscopico panorama d’iniziative e mostre in corso in occasione del centenario della nascita del Futurismo, giunge a Roma, dopo la tappa parigina al Pompidou, la mostra curata da Didier Ottinger, focalizzata sulla produzione pittorica del movimento nell’arco temporale che va dalla pubblicazione del
Manifesto nel 1909 allo scoppio della Grande Guerra.
Rivista e corretta da Ester Coen, l’esposizione alle Scuderie ha il merito di aver “riportato a casa” per la prima volta alcuni grandi capolavori come
La risata (1911) di
Umberto Boccioni e
I funerali dell’anarchico Galli (1910-11) di
Carlo Carrà, prestati dal MoMA di New York. Una mancanza, invece, rispetto alla selezione francese, è lo splendido
La città che sale, considerata la prima opera futurista dello stesso Boccioni.
Negli spazi del primo piano è presentata una ricca selezione di dipinti dei firmatari del
Manifesto dei pittori futuristi del 1910. Le
Visioni simultanee di Boccioni proiettano il visitatore nelle strade della città moderna, pulsante di luci e vitalismo;
La rivolta di
Russolo visualizza il moto della folla e il propagarsi del suo impatto nello spazio; in
Boulevard,
Severini impiega la tecnica divisionista per realizzare l’unità spazio-temporale della visione, concentrando il racconto di una passeggiata in un’istantanea a mosaico.
L’allestimento della prima parte è minimale ma arioso. Al contrario, al piano superiore la successione delle opere diventa concitata, rendendo più faticosa la lettura dei lavori e la comprensione di alcune scelte espositive (Lo
Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni se ne sta alla penombra di un angolino). Il percorso prosegue infatti con l’intento di evidenziare le profonde relazioni, corrispondenze e opposizioni che legano la ricerca artistica dei futuristi a quella degli esponenti dei coevi movimenti avanguardistici europei.
Una matrice comune è la ricerca di un linguaggio contemporaneo capace di interpretare il carattere pregnante della vita moderna, ricercando la sintesi, la simultaneità, la trasversalità e la compenetrazione tra le arti attraverso il coinvolgimento diretto dei sensi. Un
fil rouge si dipana attraverso le analitiche scomposizioni cubiste di nudi e nature morte di
Braque e
Picasso, nel confronto sullo studio del movimento tra il celebre
Nu descendant un escalier di
Duchamp e
Bambina che corre su un balcone di
Balla, passando per le rappresentazioni biomorfe di
Picabia e fino alle visioni utopiche dell’uomo del domani che irrompono dalle tele dei cubo-futuristi russi, tra i quali
Michail Larionov e
Natalja Goncarova.
La selezione prosegue con altri pregevoli lavori di
Delaunay, tra cui la
Tour Eiffel, e
Kupka, le cui ricerche orfiche sul colore giungono fin nel Stati Uniti, germinando nel Sincromismo di
Russel e
Macdonald-Wright. E c’è spazio anche per alcune interessanti opere dei vorticisti inglesi, come
Nevinson e
Lewis.
Solo un piccolissimo assaggio è dedicato ad alcuni collage di Picasso, Severini e
Popova nell’ultima sala, dove concludono la mostra una serie di dipinti futuristi dal marcato timbro patriottico e nazionalistico in cui campeggia il tricolore e l’ardore interventista che preannuncia la guerra.