Cartellonisti come
Federico Seneca traggono dal Futurismo il tono giocoso, le scritte dalle prospettive ardite, le linee sinuose ed essenziali, che danno luogo a quelle che Leo Longanesi descrive come “
oscene capocchie di fiammifero”. Sono gli omini della pastina glutinata Buitoni: su sfondi neri adimensionali campeggia la testa liscia e stilizzata di un neonato, o un cuoco impettito e leggiadro, gonfio e arioso come un palloncino all’elio.
“
Dobbiamo violentemente costringere il pubblico a fermarsi agli angoli delle strade in contemplazione di un avviso murale irresistibile”: così enuncia
Fortunato Depero nel
Manifesto dell’Arte Pubblicitaria Futurista del 1931, senza mezzi termini e con toni forti, alla
Marinetti, che ricordano il
Manifesto del 1909. Il tutto animato da una moderna consapevolezza: quella dell’avvento del mercato di massa, della necessità di spingere il prodotto oltre il materiale e di far leva sull’immagine che da esso si sprigiona, per sorprendere e far breccia nei passanti.
Ma, ancor più, la consapevolezza della necessità di guadagnare nuovi spazi all’arte; e perché non le strade e i muri sotto gli occhi di tutti?
Per continuare ad aver spazio e visibilità, gli artisti comprendono di dover scendere dal piedistallo e degnarsi di progettare il cartellone di un amaro o l’insegna di un negozio. Ci aveva già pensato il Liberty con il suo decorativismo; gli artisti italiani degli anni ’20-’40 ci mettono in più l’ironia, la sagacia, la sperimentazione.
Sempre in linea con l’immaginario futurista, con i miti del movimento e della velocità affermatisi in quegli anni, ispirati dall’innovazione tecnologica e da un sentore di guerra, artisti come
Ratalanga, Seneca,
Dudovich,
Di Lazzaro,
Martinati si dedicano ai manifesti di corse automobilistiche, di crociere aeree e di traversate transoceaniche; altri alla carta preferiscono il metallo, con esiti quali la lineare e affilata
Vittoria dell’Aria.
La dominante cartellonistica non preclude la presenza della scultura. Si ha dunque la possibilità di vedere in mostra bronzi come la
Ballerina Volante di
Thayat che, come un modernissimo mercurio, taglia il vento, surfando su un guscio di tartaruga.
Dello stesso autore è anche l’essenziale
Vir o Dux, che condivide la fonte d’ispirazione con il celebre
Profilo continuo di
Renato Bertelli. Troviamo pure un giovane
Lucio Fontana, non ancora tagliatore di tele, ma che già sembra accennare agli sviluppi futuri con il limpidissimo manifesto
Italia Consulich: un lucido fondo nero graficamente squarciato dal segno netto di una nave stilizzata.
Dai manifesti spiccano marchi tuttora esistenti. E viene da domandarsi, con un po’ di straniamento, quale fosse nel 1928 la percezione di una Fiat il cui acronimo si erge come un arco di trionfo in mezzo al sole infuocato, o che come una spirale si avvita verso l’alto, spianando la strada a una lussuosa limousine.