Non basta chiudere gli occhi, quando scendono le lacrime. Così come non basta, per scongiurare il demone della deformazione fisica, approssimarsi ad un canone estetico a priori seduttivo. Quello proposto da Cosimo Epicoco (Brindisi 1967; vive a Roma), in una personale dall’impianto solido e stringente, è il primissimo piano di una sequenza –attualissima– di volti che ostentano un’idea cosmetica della perfezione. Undici replicanti undici e un solo originale –ma forse importa poco capire qual è – che prendono tutti a liquefarsi mentre, piangendo, nascondono lo sguardo.
La perizia pittorica è smagliante eppure affatto
E infatti non c’è poi molto, di ciò che si possa soltanto elencare. C’è il rosso incandescente del lucidalabbra, e c’è il nero del rimmel. Ci sono, ovviamente, il silenzio e la magia di un viso prominente eppure distante, che vorrebbe negarsi. E c’è, infine, uno strano incarnato, freddo e insieme arroventato, di quel colore livido e indecifrabile che potrebbe essere un viola puro.
Ciò che conta, allora, è la tensione offerta dal punto di vista che distorce, il fatto che qualcosa debba andare irrimediabilmente perduto, progressivamente, tra un quadro e l’altro, in quella frazione di secondo che non si sa se appartenga a chi osserva o a chi ha deciso, dalla tela, di non guardare più. Così, in un incedere necessariamente circolare, impaginato ad anello, a sfigurare questi volti asettici interviene l’aritmia, congegnata come un’estenuata ripresa video, di una ricognizione vera e propria.
pericle guaglianone
mostra visitata il 4 maggio 2005
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