Categorie: rubrica curatori

L’altra metà dell’arte

di - 10 Marzo 2014
Flavio Del Monte è stato per anni responsabile della comunicazione per la Fondazione Trussardi di Milano. Oggi è impegnato nelle relazioni tra la Galleria Massimo De Carlo – per la quale lavora da un anno – e i musei di tutto il mondo. Un ruolo del tutto nuovo nell’ambito dell’arte che Flavio ci spiega nel dettaglio

Come è iniziata la tua avventura nel mondo dell’arte?
«Quello che mi affascinava da adolescente dell’arte contemporanea è in fondo quello che ancora mi appassiona: la sensazione di non capire e di poter ragionare su uno strano oggetto, o su un’idea, all’infinito, cogliendone sempre aspetti nuovi e inaspettati. I miei amici di allora non capivano proprio cosa ci trovassi in una tela schizzata, una plastica bruciata, dei piccioni impagliati. Mi è sempre interessato l’aspetto narrativo delle opere d’arte e per questo mi sono allontanato quasi subito dall’accademia per dedicarmi invece alla loro diffusione, alla traduzione del linguaggio dell’arte da un dialetto per pochi a un discorso per tutti. Come io abbia costruito la mia professione è in effetti un mistero anche per me, non ho mai davvero pianificato a tavolino, ho seguito delle onde che mi hanno portato a largo, poi di nuovo sulla spiaggia, poi ancora a largo. Probabilmente un giorno mi toccherà pure un tonfo sulla battigia o finirà che la mia barchetta sparirà nel nulla come quella di Bas Jan Ader.»

Raccontaci della tua esperienza alla Fondazione Trussardi per favore. Che ruolo svolgevi esattamente?
«La Fondazione Trussardi è un caso veramente raro in Italia: mi sono unito all’istituzione pochi mesi dopo che Massimiliano Gioni ne era diventato il direttore quando era – ed è tuttora – un gruppo giovane (io non avevo ancora 25 anni allora) e un po’ pirata. I progetti che abbiamo realizzato erano veramente unici e imprevedibili e toccavano un nervo scoperto della cultura contemporanea italiana e della città di Milano in cui per la prima volta comparivano artisti internazionali importanti che hanno animato con una nuova energia spazi monumentali da riscoprire. Per la Fondazione Trussardi mi sono occupato della comunicazione – professione che nell’arte non è così comune nel nostro paese: sono stato il megafono, il cantastorie, l’Agitprop di una macchina che puntava a raggiungere un pubblico ampio e variegato, fuori dai confini dell’arte. Confrontarsi con la divulgazione ti insegna a evitare l’artese, a scrivere e parlare in maniera comprensibile a tutti, a cercare nelle opere d’arte e negli artisti motivi d’interesse che superino il sistema dell’arte contemporanea.»

Al momento lavori invece alla Galleria Massimo De Carlo e, se non mi sbaglio, ti occupi in particolare delle relazioni con i musei. Considerata la crisi economica che stiamo vivendo, immagino non sia così semplice avere a che fare con gli istituti pubblici, almeno per quanto riguarda le acquisizioni….
«Mi sono unito alla Galleria Massimo De Carlo da un anno circa, a gennaio 2013, e svolgo un ruolo nuovo, che non esiste in nessuna altra galleria italiana – ma è anche raro anche in Europa e negli Stati Uniti. La galleria Massimo De Carlo lavora in Italia, certo, ma soprattutto è impegnata all’estero: ha uno spazio importante a Londra, nel quartiere di Mayfair, partecipa a oltre dieci fiere internazionali ogni anno, frequenta il collezionismo e le istituzioni di tutto il mondo. Ovviamente ha senso parlare dell’Italia ma bisogna sempre ampliare il proprio sguardo e pensare al mondo intero.
Il mondo dei musei è molto cambiato negli ultimi decenni: stiamo vivendo un momento di grande sviluppo dell’arte contemporanea (purtroppo non tanto in Italia) e il museo sta modificando ancora una volta il suo ruolo. Il museo oggi è sempre di più impegnato nella produzione di nuove opere e lavora più che mai a contatto con gli artisti. Le gallerie sono sempre più ambiziose e accrescono i loro spazi e i loro progetti fino a raggiungere una dimensione, architettonica e culturale, paragonabile a quella di molte istituzioni. Il punto non è tanto quanto sia facile o difficile avere a che fare con le istituzioni, quanto cosa una galleria possa fare per contribuire a creare nuove occasioni per far scoprire artisti e opere significative per il nostro tempo e – speriamo –  anche in un futuro molto, molto lontano al pubblico. Il mio ruolo abbraccia esattamente questa missione: sono un ponte, un meccanismo di congiunzione tra il museo e l’artista, forse un acciarino che può scatenare una scintilla. La situazione economica ovviamente, non aiuta, e il sistema delle acquisizioni museali subisce gravi colpi, gli acquisti si frammentano e sempre meno i musei sono in grado di acquisire opere davvero importanti. Si parla tanto di fuga dei cervelli e non si parla mai di fuga dei progetti o di fuga degli oggetti: il nostro patrimonio finisce all’estero, collezionato da altre istituzioni pubbliche e dai privati. Come rispondere? Con impegno, perseveranza e molto coraggio. In fondo c’è qualcosa di positivo nell’essere caduti così in basso: non si potrà che risalire, prima o poi.»

C’è per caso una linea guida seguita dai musei sempre per le acquisizioni o comunque anche per le esposizioni temporanee? Ci sono alcune regole che bisogna rispettare? Quali le strategie?
«Ogni museo italiano o internazionale segue una sua strategia, ha le proprie regole e ragioni. La difficoltà del mio lavoro risiede proprio nell’individuare queste linee guida e rispondere in maniera coerente alla collezione del singolo museo, alla programmazione della singola istituzione, al ritmo di un direttore, ai gusti di un curatore. Non sempre è possibile, naturalmente, ma per essere un buon ponte bisogna almeno capire prima dove sono le due sponde del fiume e chi ci passerà sopra. La questione è, comunque e sempre, la voce e la carriera dell’artista: le mostre istituzionali sono delle occasioni fondamentali per gli artisti per confrontarsi con il pubblico, per produrre nuovi significati e lavorare in spazi aperti agli sconosciuti. Sono occasioni troppo importanti per non essere ricercate e valutate con tutte le attenzioni possibili.»
Quale ‘ingrediente’ secondo te non dovrebbe mai mancare per la buona riuscita di una mostra in una galleria?
«Lo stupore.»

Nata a Bologna nel 1982, vive e lavora tra Bologna, Milano e Roma. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Bologna, oggi è curatrice indipendente di mostre d’arte in Italia e all’estero. Iscritta all’ordine dei giornalisti, scrive articoli di arte per Il Resto del Carlino e per altre riviste del settore. Sportiva, appassionata di viaggi e… totally art addicted.

Visualizza commenti

  • E' vero ottimo lavoro della trussardi, e anche de carlo spesso meglio di tanti musei pubblici, basta solo non cadere nei clan ristretti....cattela-gioni.de carlo-corbetta- del monte...apertura apertura apertura senza paura, così si migliora sempre

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