Una scritta di grandi dimensioni taglia in due la chiesa di San Matteo. Una volta dentro, prima di leggere occorre recuperare il fiato. Perché si avverte subito una sensazione incomprensibile di disagio. Sembra di scoprire per la prima volta di essere affetti da claustrofobia. Ci si accorge che il respiro si fa più lento. È a quel punto che le lettere cominciano a definirsi nei loro contorni.
Si legge Klassenkampf, si traduce in lotta di classe. Alta tre metri e larga undici, la scritta invade lo spazio fisico andando ben oltre il volume reale. La percezione supera dunque l’oggettività. Quindi non c’è meraviglia se la firma è di Santiago Sierra, alla sua seconda personale in Italia. L’artista madrileno, ora residente a Città del Messico, ci ha infatti abituato alla sua arte concettuale e provocatoria. La sua indagine estetica è destinata all’individuazione, prima, e all’amplificazione, poi, delle disuguaglianze economico-sociali e delle loro vittime. Agire sull’emotività per suscitare una reazione: è questo l’obiettivo di Sierra. Che fino a oggi ha lavorato allestendo performance documentate con immagini video e fotografie. Dove i protagonisti sono gli emarginati, persone comuni che in cambio di denaro hanno prestato il loro corpo. Non più attori, dunque, ma strumenti in carne e ossa. La tensione formale di queste performance supera di gran lunga quella di altre installazioni contemporanee.
Ricordiamo Línea de 30 cm tatuada sobre una persona remunerada (Linea di 30 cm tatuata su una persona remunerata); Muro de una galería arrancado, inclinado a sesenta grados del suelo y sostenido por cinco personas (Muro di una galleria staccato, inclinato di 60 gradi dal suolo e sostenuto da cinque persone); Obstrucción de una vía con un contenedor de carga (Interruzione di una strada con un autoarticolato); e, non ultima, la performance Poliuretano espraedo sobre 18 personas (Poliuretano espanso sopra 18 persone), allestita dall’artista sempre nella chiesa di San Matteo per la galleria Claudio Poleschi.
Questa volta Sierra abbandona l’azione a favore di un’installazione essenziale, andando in contro a quel minimalismo più volte rifiutato ma senza abbandonare la forza disturbante che lo ha sempre caratterizzato. Il suo lavoro stavolta sta tutto lì, assorbito da quella scritta colossale. Lettere di legno coperte da vernice nera e un potente faro che le illumina da dietro. Il contesto fa la sua parte e l’opera di Sierra è il valore aggiunto. I grandi caratteri e le loro ombre nette, che si allungano sulla parete fino a incrociarsi con le travi del soffitto, danno origine a un contrasto ombra-luce che schiaccia lo spettatore. Un chiaroscuro che richiama la matrice espressionista della Germania dei primi del Novecento, dove l’arte è esperienza emozionale. E dove la realtà esiste nell’accentuazione del colore e del segno, utilizzati come strumento per comunicare il disagio della civiltà. Klassenkampf, appunto, è lotta di classe. Urlata come profezia di un futuro non improbabile.
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