Si potrebbe parlare di utilizzo degli scarti per descrivere alcune opere in mostra alla galleria Tossi di Firenze di Enrico Bertelli (Livorno, 1959), che ricopre di resina trasparente sia i fondi dei barattoli di resina colorata servita per altre opere, sia foto scattate da altri, trovate e raccolte dopo essere state scartate perché sfocate, tagliate, apparentemente mal riuscite. E ancora, si potrebbe parlare di utilizzo di forme nate per caso, come quelle dei disegni, in cui l’acquerello crea macchie che a volte si sovrappongono a tratti a matita, a volte occupano da sole lo spazio del foglio. O come quelle dei lavori formati da strati sovrapposti di resine di colore diverso.
Ciò che però accomuna tutte queste tipologie di operazioni e che dà unità alla mostra va trovato piuttosto nel fatto che ogni opera si costruisce su tracce. Tracce di immagini, di gesti o di oggetti, tracce realizzate dall’artista o da lui trovate. Tracce indurite, solidificate, che attraversano un processo come di rinascita e di espansione semantica grazie al fatto di essere accostate, sovrapposte, unite.
Nel caso dei lavori fatti a strati, la resina si stende sul supporto in alcuni tratti ramificandosi in canali paralleli, in altri allargandosi a ondate, creando irregolarità che assumono valore cromatico negli strati inferiori, tattile nell’ultimo. Il risultato è una tessitura di forme e colori, un incastro di incroci e di trasparenze.
Ricoperte da uno strato gelatinoso di resina trasparente, le foto trovate prendono corpo. Acquistano concretezza le figure incomplete, le macchie altrimenti non interpretabili, le linee che si interrompono. Come se in questo modo si perdesse l’aspetto indefinito, trascurabile, delle foto “venute male”.
Ricoperti da uno strato trasparente sono anche i fondi dei barattoli di resina raggruppati regolarmente a quattro a quattro, di colore diverso, riuniti poi a loro volta in un gruppo di quattro lavori disposti sulla parete della galleria come agli angoli di un quadrato. Il giorno dell’inaugurazione i quattro lavori venivano sostituiti sistematicamente, enfatizzando l’effetto, già proprio dell’installazione, di una sequenza, irregolare ma ragionata, di impulsi cromatici.
I disegni sono a volte sporcati da macchie di acquerello, a volte sono formati solo dalle macchie. A volte è esposto il retro del foglio, a volte è esposto il foglio che stava sotto a quello su cui Bertelli ha lavorato. Qui è forse più evidente come ciò che il visitatore si trova ad osservare non è il lavoro dell’artista, ma le tracce di questo lavoro. Qui, dove alcune opere hanno valore figurativo, è evidente come ciò che conta non è quello che si vede o che si può vedere, ma l’universo completo di segni che le tracce lasciano dietro di sé. Come in New World, in cui gli strati di resina sono coperti e cancellati da cera bianca, visibili solo ai margini come indicazione, segnalazione, presenza. Tracce del lavoro che continuano la loro ricerca di significato anche nascosti allo sguardo dell’osservatore.
donata panizza
mostra visitata il 12 giugno 2007
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