Lanfranco Baldi era un artista eccentrico che amava poco il bel mondo dell’arte, preferendogli invenzioni e avventure fuori dal coro. La Fondazione a lui dedicata, e ospitata nella sua città natale: Pelago sulle colline fiorentine, non poteva che inaugurarsi con una mostra altrettanto eccentrica, curiosa e soprattutto rivolta a quel mondo marginale che Baldi aveva frequentato e incarnato.
Per questo Pier Luigi Tazzi, vecchia conoscenza tra i curatori indipendenti italiani oggi a Pelago in veste di presidente della Fondazione Baldi, e Lorenzo Bruni, giovane e attento critico nella veste di curatore, hanno messo in piedi “ALBàNIa”, mostra che vede protagonisti due artisti albanesi Sislej Xhafa e Adrian Paci.
Il corto circuito, la stranezza dell’operazione sono evidenti. Intanto, “ALBàNIa”, realizzata con opere quasi tutte inedite, è una mostra fatta da due artisti niente affatto marginali, anzi ormai acclamati dal pubblico internazionale, e che non vivono più in Albania. Dunque niente di ovvio e di rituale. Eppure sia Sislej che Paci conservano una poetica che sorprende lo smaliziato occhio occidentale il quale, a rischio di una deriva un po’ patetica, potrebbe anche leggere il tutto come “molto albanese”. E qualcosa di vero forse c’è. Proviamo a spiegarlo.
Sislej, artista che ama la performance e un tipo di provocazione forte ma gioiosa (indimenticabili le due installazioni a Casole d’Elsa per Arte all’Arte di un anno fa), oltre a un video e foto, propone una serie di immagini dai colori saturi con lui protagonista. La sua presenza scenica, il suo impatto nel nostro campo visivo sono dirompenti. Sisley ha un corpo, uno stare tra le cose che parlano da soli. La giungla in cui compare perfettamente vestito per “cercare lavoro” produce un effetto straniante. L’ironia diventa capacità di affabulazione, potere seduttivo che lui mette in scena dandoci così scacco matto. E tagliando di netto le nostre eventuali litanie e pruderie sull’ “artista albanaese”.
Adrian Paci è invece un artista che si muove nell’orizzonte della memoria, della rimemorazione più precisamente. Più narrativo e vocato a ritessere storie, paesaggi interiori e non solo, brandelli di realtà, come ad esempio nel video alla Biennale di Venezia, che poi sembra la lenta animazione di un’intensa tela di Balla. Tra le altre opere, Paci a Pelago propone uno straordinario video che mette in dialogo, con sguardi e attesa, un delizioso “putto” con un coro stagionato di nonni e compaesani. Immagini che ci fanno pensare all’Albania (sarà veramente così?), alla sua memoria, forse probabile o forse no. A ciò che noi immaginiamo di questo Paese. Di nuovo un corto circuito, una asimmetria tra quello che vediamo e quello che pensiamo.
Adriana Polveroni
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