Un’arca psichedelica, eterogenea e trasversale, un paesaggio emotivo in cui al pettine degli stand per la pittura, si contrappongono cupole geodetiche alla Füller, “bolle” spaziali, hangar per improbabili astronavi pop. Su tutto l’enorme “relitto” del cavallo quattrocentesco di Donatello, straordinario object trouvé. Così Italo Rota allestisce la mostra-evento che Padova dedica agli anni ’60.
Senza pretendere un’impossibile completezza, il percorso espositivo allude,
Dei fabolous Sixties emerge soprattutto la carica rivoluzionaria, la percezione straniata e straniante della realtà di cui l’Ambiente Spaziale di Lucio Fontana (1968) rimane uno degli esempi più lirici e radicali. Abbagliante nella monocromia del bianco, lo spazio si dilata e si restringe in prospettive vertiginose. Per celare e proteggere, come una ferita dell’anima, uno dei celeberrimi “tagli”.
Analogamente, l’optical di Alberto Biasi immette profondità e movimento sulla superficie bidimensionale del quadro, mentre gli albori del consumismo diventano etica e critica nell’opera di Andy Warhol e di Piero Manzoni, di Michelangelo Pistoletto e di Mimmo Rotella.
Ma sono forse gli “oggetti d’uso” a ricordare con maggiore evidenza l’eredità che gli anni ’60 hanno lasciato all’immaginario contemporaneo. Colombo, gli Scarpa, i Castiglioni e Sottsass creano -con gli elettrodomestici per Brionvega, le lampade per Flos, le macchine da scrivere per Olivetti, gli arredi per Zanotta- vere e proprie icone d
Allo stesso modo, il concetto di rete continua e cablata s’impossessa dell’urbanistica e dell’architettura grazie alle nuove utopie di Archigram e Superstudio, mentre il Beaubourg di Rogers e Piano stravolge l’estetica del museo per interpretarne la facciata come “ventre” e “meccanismo”.
Non poteva mancare la musica dei Beatles, la moda di Pierre Cardin, le prime strips di Pratt e di Crepax. Senza dimenticare le elegie felliniane della Dolce Vita o la famosa trilogia dell’incomunicabilità di Michelanagelo Antonioni, con cui il cinema per la prima volta celebra, attraverso inquadrature lente e sospese di straordinaria modernità e bellezza, astrazioni e rigori della contemporaneità.
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elena franzoia
mostra visitata il 6 giugno 2003.
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Oddio, oddio, non riesco mai a capire se odio di più le menzogne o i rapporti clientelari. Dov'è l'allestimento d'eccezione? Dove sono i contributi al cinema? Dov'è la musica dei Beatles? a volte mi chiedo cosa hanno visto i giornalisti in quell'accozaglia di elementi che è la mostra anni '60 a Padova. In verità non c'è niente. é inutile dire che allo spettatore viene imposta una libertà disorientante tipica di quel periodo storico, lo spettatore deve girare come una trottola in cerca di una didascalia o di un segno qualunque che gli faccia capire dov'è e cosa sta guardando. Indubbiamente ci sono cose belle ed interessanti, ma ci sono anche delle mancanze quasi intollerabili, quali sono ad esempio qesti oggetti cult di design di cui si parla, forse solo la lampada da tavolo "eclisse" di Magistretti e la lampada di castiglioni. Si voleva rappresentare l'italia degli anni sessanta ma ci si è dimenticato di esporre oggetti e autori che in quegli anni hanno fatto il costume dell'italia. Vedo cose più belle nelle case di chi quegli anni gli ha vissuti piuttosto che in quella mostra.
Quella mostra è solo apparenza, e la cosa più grave di tutte è proprio l'allestimento che nonostante la sua apparenza sixties è completamente senza logica. Questo ovviamente è solo il mio parere, l'unica cosa che chiedo è di non dimenticarci mai che una mostra è fatta per chi la guarda non per chi la costruisce o per chi ci ha lavorato.
sono completamente daccordo... ho visto la mostra ed è realmente deludente...