Categorie: Architettura

2 ottobre 1999 – 14 novembre 1999 |

di - 4 Novembre 1999

I massimi esponenti dell’architettura futurista manifestavano, infatti, grande insofferenza per i vecchi spazi urbani, per l’architettura del passato che aveva formato lo spirito delle nostre città sottolineandone una certa solidità e visione prospettica, dichiarando apertamente che ogni tempo richiede invece una sua città, con un proprio volto ispirato ai meccanismi di vita contemporanei, agli stimoli che il tempo di volta in volta può portare.
«L’ARCHITETTURA SI STACCA DALLA TRADIZIONE. SI RICOMINCIA DA CAPO PER FORZA […] Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari; ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari. […] Finiamola coll’architettura monumentale funebre commemorativa. Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze, innalziamo il livello delle città. […] Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del FUTURISMO, che già si afferma con le PAROLE IN LIBERTA’, IL DINAMISMO PLASTICO, LA MUSICA SENZA QUADRATURA E L’ARTE DEI RUMORI, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista». (A. Sant’Elia, L’architettura futurista. Manifesto, Milano 11 luglio 1914, in La metropoli futurista. Progetti im-possibili, catalogo della mostra, Firenze, Officine del Novecento, 1999, pp. 82-84).
Oggi che le tecnologie informatiche stanno nuovamente imprimendo un volto allo scorrere degli eventi nel quotidiano, ci si rende conto di quanto importanti siano stati gli stimoli posti dal movimento futurista per alleggerire le città dai massicci monumenti glorificatori di un passato incombente, o dagli stili architettonici fin troppo noti. Eppure niente di tutto ciò che Boccioni, Sant’Elia, Marchi, Marinetti divulgavano sulla città fu in pratica recepito nel nostro Paese, seppure culla di un movimento così rivoluzionario nei confronti della vita urbana, così come oggi l’architettura in Italia non pare affatto scalfita dalle differenti stimolazioni che la rivoluzione informatica potrebbe imprimere all’ideazione di nuovi edifici simbolo del nostro tempo (è a tutti noto, infatti, che oggi le nuove idee in campo architettonico, in grado di prefigurare nuovi scenari di vita per l’uomo, provengono da altre parti del mondo, ma in nessun caso dall’Italia).
La mostra sul futurismo (Galleria degli Uffizi, Sala delle Reali Poste, Firenze 2 ottobre – 14 novembre 1999), curata da Vincenzo Capalbo, con la direzione scientifica di Ezio Godoli, instilla il dubbio su ciò che avremmo potuto trarre da quelle immagini di grande esaltazione della vita urbana, ancor più per il fatto che Capalbo ha ricostruito grazie a un video le dinamiche pulsanti dei visionari futuristi, facendoci entrare per venti minuti circa in un mondo tratteggiato dallo scorrere veloce del tempo, ancorato a edifici svettanti e prorompenti di ferro di vetro e cemento, per una indifferenziazione di contenuti, una vita esaltata dalla cementificazione assoluta e dalla velocizzazione delle attività umane, mai conosciuta per l’epoca, fatta di grandi stimolazioni visive, di eccitazione sensoriale, e nella quale è possibile ora inoltrarsi proprio grazie alle ricostruzioni elaborate al computer che letteralmente “mettono in moto” la realtà preconizzata dai futuristi, esplicitandone per la prima volta carattere di seduzione e forza del “movimento”. È come entrare in un quadro, in uno schizzo, in un’idea.
Sintomatica questa realizzazione dentro il cuore pulsante di “Storia” della Firenze rinascimentale dove ogni richiamo al “futuro” è presto celato dall’immagine pressante dei nobili trascorsi storici.
Oggi in Italia si continua a preservare i monumenti dalla lenta agonia che il tempo comporta, ergendosi come custodi dei grandi stili del passato, costruendo edifici nuovi già vecchi, usando materiali fuori da ogni logica temporale.
Restano questi impulsi emblematici quali il futurismo pose, poi contrabbandati come “fascisti” per la loro filosofia perentoria e autoritaria di nuovo mondo.
Ma resta la loro carica emotiva, l’estasi degli scritti e di luoghi costruiti per annullare ogni forma di romanticismo o di paesaggismo compassato.
Come nota Godoli, «Non è certo una forzatura volere scorgere in questo particolare filone dell’immaginario metropolitano futurista uno dei principali lasciti del movimento marinettiano alle neoavanguardie degli anni ’60 che, da Richard Buckminster Fuller ai gruppi Metabolism e Archigram, cederanno alla tentazione fantatecnologica di concepire megastrutture vaganti ma destineranno anche una particolare attenzione ai fenomeni del nuovo nomadismo, progettando nuovi tipi di mobile homes e di strutture di servizio trasportabili e approfondendo lo studio di aree di sosta attrezzate». (E. Godoli, I futuristi e la metropoli, in La metropoli futurista. Progetti im-possibili, catalogo della mostra, cit., p. 16).
«Noi scancelleremo dalle pareti delle nostre camere tutte le tracce e i ricordi del passato. I preistorici armadi, i comò monumentali, i soffitti a cassettoni, i tappeti persiani, i bituminosi quadri ad olio, gli acquerelli slavati, le macabre calcografie, le fotografie ingiallite, le panoplie rugginose, i meticolosi arabeschi, i bibelots rococò, le maioliche, i mosaici, gli intarsi, i pizzi di Venezia, i vetri di Murano, le porcellane di Sèvres, gli arazzi, le tende, i vasi cinesi, le giapponeserie, i rifiuti dei bazar turchi, gli esotismi, le galvanizzazioni di stile asiatico, bizantino o medievale, le scipitaggini classiche, le foruncolosi secentesche, le smorfie settecentesche, le pompe funebri «empire», le rigide stilizzazioni floreali, le goffe gravidanze del nuovo stile teutonico, lo louisquatorzeries, le louisquinzeries, le louisseizzeries, tutto questo immondo e fetido ciarpame da rigattiere che i secoli hanno accumulato con la polvere e i tarli dei nostri vecchi appartamenti, sarà da noi scopato via senza pietà e divorato da un incendio pirotecnico di linee. Noi siamo stufi di vegetare in case appestate dall’alito di 100 generazioni. Da ora in poi non mangeremo dormiremo e ci accoppieremo che in case foggiate ad immagine e somiglianza dei nostri cervelli». (Volt – V. Fani, La casa futurista. Indipendente – mobile – smontabile – meccanica – esilarante. Manifesto, in La metropoli futurista. Progetti im-possibili, catalogo della mostra, cit., pp. 88-90).

Le Metropoli
Futurista, sito ufficiale della mostra

Altre notizie sulla mostra in Exibart

Patrizia Mello

[exibart]

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