Categorie: Architettura

architettura_progetti | Epicentro Prada a Tokyo

di - 15 Luglio 2003

Quando dieci anni fa Herzog e de Meuron intervennero sull’edificio Suva (1988-1993) a Basilea attraverso l’uso di un rivestimento di vetro sovrapposto alla facciata esistente, si parlò di ampliamento ma soprattutto di alterazione del fabbricato. Una soluzione presaga del modo sempre più radicale in cui gli architetti svizzeri hanno attuato processi di manipolazione a livello tipologico e formale.
È di nuovo intorno ai significati legati all’alterazione che viaggia il progetto dell’edificio per Prada a Tokyo.
Il blocco sorge sull’Aoyama-dori (avenue). Siamo nel distretto della moda di Tokyo, vicino all’Omotesando-dori, un boulevard di tipo europeo lungo il quale vecchie case per appartamenti, solitarie tracce dell’architettura moderna della città, sono state demolite a favore della costruzione di un nuovo edificio di Tadao Ando che fornirà all’area ulteriori migliaia di metri quadrati in più per lo shopping. Tutta l’area attrae folle di giovani consumatori.
Le cortine urbane, costellate da boutiques di ogni genere, costituiscono lo sfondo di strade-passerella lungo le quali sfilano masse di ragazzi e ragazze che sfoggiano combinazioni di tutti i prodotti che in quei luoghi possono essere acquistati. Il risultato è eclettico, radicale, maniacale, tipicamente asiatico. 
L’edificio Prada non poteva trovare un luogo più consono alla sua definizione di epicentro coincidendo a sua volta con l’epicentro della moda e dell’immagine, con il laboratorio del voyeurismo. L’uso del vetro è centrale. È usato come una pelle a tessitura romboidale, modulata per lastre di sezione variabile: piatta, concava o convessa. Questo tessuto-massa costituisce un involucro a parallelepipedo regolare che termina, come molti edifici di Tokyo, con una forma piramidale irregolare alla suasommità. All’interno la forma a rombo è utilizzata anche per conformare la sezione di volumi tubolari verticali e orizzontali. Nel primo caso essi contengono i collegamenti tra i piani, nel secondo accolgono gli spazi destinati alle sale prova o a zone per l’esposizione di accessori.
L’arredo è costituito da tavoli di vetro di grande finezza costruttiva sui quali sono disposti i capi. Lo showroom si articola per sei piani dalla quota stradale, mentre uffici e zone di servizio per lo staff sono disposti ai piani più alti. Due le possibilità di ingresso: si può accedere al grande negozio o ad un Prada fitness club ricavato nel piano interrato.
Visto nel suo insieme l’edificio ha una forza straniante raramente espressa in altri progetti di Herzog e de Meuron. Le dimensioni e le forme delle lastre di vetro intervengono sulla fisicità del vetro, trasformandolo in una massa pesante, in una pelle tridimensionale, dotando così il materiale di quella che i progettisti chiamano caratteristica “ipernaturale”.
Non esiste una facciata ma una massa avvolgente che sembra avere il duplice ruolo di paramento e di strumento. Di paramento perché essa è ovviamente l’elemento di chiusura dell’ambiente; di strumento perché sembra svolgere la funzione di una lente che altera lo spazio.
La manipolazione esercitata sul vetro comporta precise conseguenze soprattutto in termini di relazione tra interno e esterno. Tra corpo costruito, fruitore e città.
Gli autori del progetto parlano della loro opera come di un edificio che descrive “diverse geometrie, riflessi frammentati” e che “consente la percezione da dentro e da fuori di immagini cangianti […] innesca prospettive cinematografiche dei prodotti, della città, di se stessi”.
La vista è senza dubbio il senso più stimolato da questo progetto. La massa edilizia deforma la percezione dell’ambiente, attiva uno sguardo iperrealistico verso il prodotto esposto e inquadrato dalle lastre di vetro, occasionalmente variato nelle sue dimensioni a causa della concavità o convessità delle lastre stesse.
Lo spettatore si trova a confrontarsi con quello che gli architetti stessi definiscono uno “spazio oscillante”, un universo fluido nel quale l’immagine sconfigge la matericità dello spazio divenendo essa stessa il materiale privilegiato di questa architettura.

ringraziamento ad Eiji Kohsaka per aver messo a disposizione le sue fotografie.

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Assegnato il Pritzker 2001 a HERZOG & DE MEURON

marco pompili

[exibart]

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  • Ecco, siamo giunti al termine dell'estetica fondata sulla massa muraria,al centro sta l'uomo ed il suo muoversi nello spazio,in effetti l'ispirazione e' molto Radicals.Pare un WalkingCity tutto mutevole deperibile e molto nomade,quasi ..telescopico,ammazza quante cazzate!A proposito a quando una bella mostra sui nostri radicals italiani?Chi mi informa?Vabbe comunque sia brava Miuccia.

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