Da più di trenta anni fotografa ossessiva di se stessa in quanto incarnazione e simbolo di ogni “carattere” femminile, la camaleontica Cindy Sherman (New Jersey, 1954) dopo dieci anni torna ad esporre in Inghilterra con una esaustiva retrospettiva.
La mostra ospita cinquanta fotografie, tutte rigorosamente “senza titolo”, esposte nelle sale senza un ordine cronologico, forse per sottolineare la coerenza manifestata nel corso degli anni dell’artista americana, tanto “autoreferenziale” quanto geniale e rigorosa nelle sue scelte stilistiche. Accanto ai primi ritratti in bianco e nero realizzati a metà degli anni ’70 da una Sherman appena uscita dall’accademia di pittura (non fu accettata al corso di fotografia!), in cui si riconoscono già le sue doti di trasformismo unite a un’estrema cura per i particolari, troviamo le ultime coloratissime fotografie inedite concepite dopo l’11 settembre che la ritraggono nelle vesti di sguaiati clowns. Pagliacci istericamente felici, perciò ambigui e talvolta minacciosi che -come ha
Sherman, internazionalmente acclamata per il suo uso postmoderno del ritratto fotografico, ripresenta alla Serpentine anche le sue opere più conosciute, realizzate a metà degli anni ’80, in cui interpreta caratteri di donne “immobilizzate” dalla macchina fotografica in ruoli stereotipati che si rifanno all’immaginario del cinema, della moda, delle riviste patinate. Sono ritratti languidi di donne “narcise” che fanno il verso alla classica rappresentazione femminile nella tradizione pittorica.
Alla fine degli anni ’80 la sua indagine sul corpo femminile e sul modo in cui è stato rappresentato nel corso della storia dell’arte si è concretizzata nella serie dei “ritratti storici”: fotografie basate su capolavori del passato in cui l’artista si ritrae come novella
L’uso della protesi e del camuffamento è sempre meno nascosto nelle opere più recenti, come nella serie -realizzata nel 2000- delle “donne medie” americane, una carrellata di “tipe da supermarket” truccate e pettinate senza gusto, donne non più giovani patetiche e grottesche le cui bocche sporgenti e piene di rossetto sono esposte con tutta la forza della finzione.
Una profonda riflessione sul corpo femminile è dunque all’origine dell’arte di Cindy Sherman: il corpo dell’artista che diventa il corpo di tutte le donne, un corpo scomodo, talvolta crudamente osceno, (come nei suoi “omaggi” al Surrealismo), provocatorio, che non vuole più essere l’oggetto del desiderio maschile, ma affermarsi definitivamente come soggetto attivo dell’arte.
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