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fino all’8.VIII.2010 | Berlin Biennale 2010 | Berlin, sedi varie

di - 30 Luglio 2010
È un tema complesso e
intellettualmente seducente quello pensato da Kathrin Rhomberg per la sesta
edizione della Biennale di Berlino. Un argomento che può essere posto
essenzialmente in forma interrogativa, date le smisurate difficoltà a
rispondere univocamente: qual è il valore della realtà, di tutto ciò che
onestamente può essere considerato vero? È soprattutto, come scrive nel suo
saggio in catalogo, un’analisi mirata a chiederci “perché l’autoinganno
abbia smesso di essere considerato esclusivamente come un fenomeno di
psicopatologia individuale e sia diventato invece – nella nostra corsa
frenetica cui ci induce la nostra società basata su modalità competitive – un
prerequisito accettato, giustificato e tollerato dai più tanto per la
sopravvivenza quanto per il perseguimento del successo
”.

Giustamente, come osserva
Rhomberg, “non esiste un criterio uniforme che ci permetta di orientarci in
questo mondo che sembra dicotomico
” (in realtà le due componenti più spesso di quanto si
pensi si mescolano) senza aver sviluppato reti di conoscenza che ci permettono
di decifrare le informazioni, di leggere gli eventi. Conviene quindi basarsi
sulla molteplicità, sul prefisso ‘multi’ che evidenzia i gradi di complessità
della nostra società, data la nostra sostanziale inettitudine a riconoscere a
prima vista e a percepire i confini tra reale, fiction e bugia. Dispiace però
che le risposte messe in essere nelle mostre berlinesi siano invece troppo
orientate al realismo politically correct da occidentali che si mettono gli occhiali per
riflettere sui propri drammi, senza proporre – oltre alla critica
socio-politica – altre forme e dinamiche di smascheramento. L’effetto è così quello
che le opere sono accessorie e servono a descrivere e a fare analisi più che a
proporre e a veicolare pensieri, utopie e quant’altro. Sono cioè diventate
simili a sistemi che producono solo informazione.

Non è un caso che le opere più
interessanti siano quelle in cui lo spettatore partecipa, senza essere oggetto finale di
un sistema (pur legittimo) di controinformazione. È il caso dell’installazione
monumentale di Petrit Halilaj che occupa la sala centrale dei KW, una sorta di palazzo
in legno abitato da polli. Chi guarda vede e può interagire con gli animali da
cortile e avvertire la puzza dei loro escrementi. I polli esistono, mentre la
pur encomiabile installazione di Mark Boulos – che proietta su due video alle
estremità della stanza un reportage sui guerriglieri del delta del Niger
contrapposto alla borsa delle materie prime – finisce per dire allo spettatore
proprio quello che catarticamente si aspetta di vedere per lavarsi la
coscienza.

È un errore in cui non cade Marxism
Today
di Phil
Colllins

(commissionato proprio dalla Biennale), lunga intervista a varie donne che
hanno vissuto il Muro e la propaganda, benché l’esito sia abbastanza scontato:
stavamo meglio quando stavamo peggio. Nella troppo lunga sequenza di video (per
la sola sede di Kreuzberg ci vogliono cinque ore!) i lavori più interessanti
sono però quelli performativi, antididascalici, come il caso dell’israeliano Avi
Mograbi
, che
chiede ai soldati la ragione dei loro comportamenti antipalestinesi, o Ferhat
Özgür
, che mostra
due donne turche che decidono di scambiarsi gli abiti, o ancora Sebastian
Stumpf
, che si
intrufola nei garage che si stanno chiudendo come un novello Arsenio Lupin.

Se si esclude la bella
installazione multitappeto di Hans Schabus e i lavori video di Armando Lulaj, tutto il resto è davvero noia
ammantata da una continuata e spiacevole mancanza di oggettualità, con
un’estetica uniforme e una visione troppo engagé. Manca proprio uno dei valore più
eversivi che l’arte e le opere possono fornire come riscontro della realtà,
contro l’essere solo destinatario finale di contenuti: l’esperienza
individuale.

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Una
riflessione sulla scorsa Biennale di Berlino e del Withney

daniele capra

mostre visitata il 22-23 luglio
2010


dall’undici giugno all’otto
agosto 2010

VI Berlin Biennale
for Contemporary Art – What Is Waiting Out There

a cura di Kathring Rhomberg

Sedi
varie – Berlino

Orario: da martedì a domenica
ore 10-19; giovedì ore 11-22

Ingresso: intero € 14; ridotto
€ 7

Catalogo DuMont Buchverlag

Info: tel. +49 302434590; fax +49 3024345999; office@berlinbiennale.de; www.berlinbiennale.de

[exibart]

Visualizza commenti

  • certi curatori scrivono troppe cacchiate, daccordo con orlando.

    Esempio: Flash Art luglio 2010 pag. 57, Daniela Zangrando su Alberto Tadiello.

    Un testo degno dei romanzetti Harmony.

    "Alzo istintivamento lo sguardo. Lui è li. Trattengo il respiro. Sa della mia presenza.

    E' una bestia. Nient'altro che una bestia."

    "Se lo si fiuta da lontano, meglio girare a largo o cambiare strada.

    La lingua ruvida e dura, cosparsa di aculei rivolti all'indietro e in grado di lacerare la pelle."

    "Nonostante la paura, mi scuote l'ebrezza di tenergli testa, di non lasciare il campo.

    Le labbra si sfregano un po' convulse, su e giu, attratte.

    Scordo la prudenza, calpesto il buon senso.
    Lui rimane li, attende.

    Intravedo il suo addome muoversi.
    Respira lento.

    Conto i passi che ci separano. Gli lancio un'occhiata. accettera' la sfida"

    Non avevo voglia di copiare tutto, ma la Zangrando qui era davvero arrapata.

    In riferimento all'opera di Alberto Tadiello LK100A, 2010. barre e lamiere di ferro, dadi, bulloni, cavi d'acciaio, tubi, compressori, clacson pneumatico.

    Testo I M B A R A Z Z A N T E, specialmente per la Zangrando che scrive tali scempiaggini e indirettamente anche per Tadiello.

    Giancarlo Politi che stai a fa??????
    Lo vogliamo chiamare testo critico, compito in classe, o crisi post adolescenziale?

    Ho capito che c'e' la disoccupazione, ma ormai fanno i curatori invece di scrivere i romanzetti Harmony!

  • non esiste una realta ma tante e fra queste anche le bugie forse che i sensi non mentono noi siamo fatti di illusioni e sogni questa io penso è la vera realta

  • Caro Achab, non vorrei che ci inalberassimo sull’uso di una parola, ma ti faccio presente che esiste un uso estensivo del termine, che è quello cui io facevo riferimento, tanto più perché stavamo parlando di arte e non di filosofia. Ma non voglio fare la precisazione sulla precisazione altrimenti qui si discute di aria fritta in maniera inconcludente.
    Per quanto riguarda i lavori degli artisti italiani che hai citato, trovo Cattelan trasgressivo e politico, anche nelle sue provocazioni, come dimostra anche il lavoro per la Biennale di Carrara: un’opera che pone delle domande e che mette in discussione gli stereotipi della storia della politica, ed è ben più profonda di quanto appaia nel spiegare il nostro ambiguo rapporto con il passato. È un lavoro “politico”, anche se non engagé.
    Vascellari ha sviluppato poetiche differenti, basate sulla visceralità e sul rapporto “ambientale” con chi guarda, attraverso la performance. Il suo non mi pare un lavoro che abbia degli effetti politici.

    Caro Luca, non so quale sia il contesto con cui Daniela Zangrando ha scritto il testo, non compro mai Flash Art. Segnalo a lei il tuo commento.

  • "Come risposta alla domanda chiusa e stringente della mostra avrei voluto altre domande, aperte, in grado di destabilizzare, di mettere incertezza".......
    si, non tutto meritava tra le opere e a volte le reazioni di alcuni autori a certe tematiche appaiono un pò scontate, non c'è dubbio
    Jennyfer

  • di cose ovvie e scontate ce ne sono fin troppe, molti artisti sfogliano qualche rivista e poi pretendono di fare gli intellettuali, e tanti curatori fanno finta di nulla e propinano alla gente di tutto "tanto chi vuoi che se ne accorga"...

  • caro Daniele
    l'uso estensivo di un termine in certi contesti non va bene, credo che riguardo ai discorsi sull'arte l'uso estensivo denota mancanza di chiarezza o consapevolezza altrimenti se vuoi visto che ci siamo posso far partecipare al dibattito anche il mio idraulico che di arte non capisce un
    tubo :)))
    (anche se mi rendo conto che la mia è una battaglia persa: chi cerca rigore intelettuale
    o intelligenza non lo può trovare certo nel mondo dell'arte contemporanea cosi' com'è combinato e qui si cita giustamente certa robaccia che passa su flash art)
    credo che cattelan sia il tipico figlio di questo mondo con lavori che non fanno affatto pensare ma che sfruttano piuttosto l'onda del motivo esterno per fare risonanza
    ci sono molti che apprezzano quest'abilità ma continuo ad essere convinto che per apprezzare certe cose .....
    sarebbe stato piu provocatorio esporre il cenotafio con craxi davanti ad una sede di forza italia ma forse sarebbe stato meno generico ma come ho detto non ci sono molti Hans Haacke in italia
    quindi cattellan non engagè ma scusami nemmeno politico e se vuoi, tiriamo fuori i dizionari anche per il termine "politico"...
    vascellari ovviamente è ancora peggio e non perchè non mette dentro le proprie opere esempi raffinati come kennedy o hitler ma perchè è immerso nella sottocultura da Rolling Stone per cui la musica rock o punk sarebbero sintomo di rabbia allo stato puro , sono trasgressive e contro il sistema, anche se in realtà in italia la vera rivoluzione sarebbe la riforma del fisco piu che sentir strimpellare dei musicisti falliti nelle strade di vittorio veneto.....
    almeno i trobbling gristle erano incazzati sul serio (anche se personalmente faccio a meno anche di loro)

  • caro daniele, se riesci anche prendendolo in prestito leggilo, anche solo il pezzo su tadiello, visto che segui l'artista e lo conosci.

  • Sottoscriviamo in tutto e per tutto l'analisi sviluppata nell'articolo, aggiungendo che soprattutto manca, nella scelta delle opere, una critica ai LINGUAGGI del reale.
    Ad ogni modo, abbiamo solo un appunto sull'articolo: e Cameron Jamie, che da solo valeva l'altrimenti sprecato prezzo del biglietto?

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