Da Venezia a Leonforte. Salvo, la pittura e la geografia di un ritorno

di - 24 Dicembre 2025

Salvo nasce a Leonforte il 22 maggio 1947. Per anni, il nome del paese è ricorso come un’indicazione, una presenza silenziosa nella storia dell’artista. Dato biografico, più che luogo attivo. Oggi, Salvo ritorna simbolicamente nel contesto che gli ha dato i natali con due opere – San Giovanni degli Eremiti, del 1982, e La strada di casa, del 2004 – e il paese torna al centro del racconto, riconoscendo il pittore e riaccogliendolo nei propri spazi. Il ritorno di Salvo si è articolato come un percorso a più livelli, tenendo insieme il riconoscimento istituzionale e la dimensione più intima dei luoghi d’origine: Salvo. Da Leonforte a Venezia e ritorno ha permesso un viaggio che, per mano della Biennale di Venezia e dell’Archivio Salvo, ha preso avvio dalla città lagunare, per poi trovare nel paese dell’artista il proprio centro simbolico e narrativo.

Il primo momento si è svolto il 16 dicembre nella Biblioteca della Biennale, con una giornata di studi che l’Archivio Storico della Biennale di Venezia ha dedicato ai 50 anni dalla partecipazione di Salvo alla Biennale Arte del 1976. Un appuntamento che ha dato l’opportunità di rileggere quella presenza alla luce della parabola complessiva dell’artista, collocandolo all’interno di una storia dell’arte che oggi ne riconosce pienamente la centralità.

«Il mio nome è Mangione Salvatore, detto Salvo nato a Leonforte (Enna) il 22-5-1947. Nel catalogo spero bene che sia pubblicato per primo il mio nome d’arte e tra parentesi poi il mio nome per esteso», si legge in una missiva inviata dall’artista all’allora Presidente della Biennale. La corrispondenza è oggi conservata nell’Archivio storico della Biennale, diretto da Debora Rossi; e proprio l’archivio è stato il punto di partenza per la giornata di studi che ha visto gli interventi di Sarah Cosulich, Lisa Andreani ed Elena Volpato. La tappa veneziana ha dunque costituito una cornice critica e istituzionale per un progetto che si è mosso riavvolgendo un nastro, tanto indietro da arrivare al punto iniziale.

Il 23 dicembre, infatti, l’iniziativa ha assunto una dimensione diversa, più stratificata. Qui, l’omaggio a Salvo si è tradotto in celebrazione pubblica ma anche in un gesto di restituzione. Partendo dall’inaugurazione di una targa in via Cavallotti 12, nella casa d’infanzia dell’artista, si è segnato emblematicamente il punto di origine di «Un percorso che unisce attraverso un filo Leonforte, Torino, Venezia e poi, di nuovo, la strada di casa», come ha affermato il Sindaco. La targa, che nel suo marmo, nel colore e nel carattere dell’incisione tanto ricorda le lapidi realizzate dall’artista, è stata svelata alla presenza delle eredi, ora titolari dell’Archivio Salvo, e del Presidente della Biennale di Venezia Pietrangelo Buttafuoco.

La pittura di Salvo abita spesso i luoghi, si muove attraverso gli scorci, fra palazzi, rovine e alberi. Ma il vero elemento che la caratterizza è la luce, una luce che si fa colore e che avvolge ogni forma geometrica conferendo un volume e una matericità riconoscibilissimi: «Ascolto con attenzione l’indefinibile colore del luogo e dell’ora, eterno ed effimero al tempo stesso», per usare le parole del pittore stesso. Paesaggio e colore si fondono annullando la traiettoria liminale che definisce l’entità dell’uno e dell’altro in modo netto, nutrendosi a vicenda. Spazi, dunque, che diventano quasi atemporali per questo rapporto speciale con la luce.

Due sono le opere esposte fino al 26 gennaio nel corridoio della scuola elementare Nunzio Vaccalluzzo, la stessa frequentata da Salvo: una scelta chirurgicamente precisa perché, come ha affermato il Presidente della Biennale, «La formazione avviene nei primi anni, ed è lì che si sedimenta la capacità di essere artisti inconsapevoli». Secondo Buttafuoco, proprio in quella commistione tra rito, musica e comunità si può cogliere una chiave profonda del lavoro dell’artista: «Ho immaginato una delle sue opere, la rappresentazione della Sicilia, dove l’elenco dei luoghi diventa un elenco di ingegni, di memorie, di ritorni».

La strada di casa riveste un valore particolare all’interno della produzione di Salvo. Si tratta della rappresentazione della Chiesa Madre, unica opera all’interno della produzione conosciuta dedicata esplicitamente a Leonforte; proprio per questo, il suo ritorno assume il sapore e il senso di una restituzione immateriale e affettiva. Non una veduta, ma un’immagine capace di condensare architettura e luce in un tempo che diventa immortale, uno spazio mentale riconoscibilissimo per chi lo abita e carico in potenza di un infinito ventaglio di racconti per chi, non conoscendolo, lo guarda e vi inscrive un proprio immaginario.

Salvo, La strada di casa, 2004

Accanto a quest’opera, San Giovanni degli Eremiti riporta in vita uno dei soggetti più ricorrenti della pittura di Salvo. Un luogo che, nella sua opera, smette di essere semplice edificio per diventare dispositivo poetico. «Non è solo una chiesa», ha spiegato Buttafuoco, «con un colpo d’occhio diventa una moschea, diventa un monumento che canta con le sue pietre, che attraversa le culture e le stratificazioni della nostra storia». Un’immagine che restituisce una luce interiorizzata, filtrata dal tempo e dalla memoria, i cui colori – racconta la figlia del pittore – rendono perfettamente l’idea del modo in cui Salvo intendeva la propria pittura, capaci di trasformare un “semplice” edificio in qualcosa di personalissimo, di interiorizzato e tradotto. Lo spazio reale si trasforma in un dispositivo poetico, in cui convivono esperienza diretta e immaginazione: è in questo scarto che si colloca la capacità di restituire l’essenza di un luogo senza mai ridurlo a veduta.

Salvo, San Giovanni degli Eremiti, 1982

Nel corso dell’incontro è emerso anche il ruolo centrale dell’Archivio Salvo, inteso non come spazio di asettica conservazione, ma come mezzo attivo di studio e trasmissione. Clara Dagosta ha insistito sull’idea di un archivio capace di mantenere vivo il dialogo tra l’opera di Salvo e le generazioni successive, sottolineando come gli archivi non siano mezzi chiusi sul passato, ma strumenti per «Portare il lavoro di Salvo nel presente».

Le tradizionali novene hanno accompagnato il passaggio dalla strada alla piazza, restituendo all’evento una dimensione collettiva e sonora, intrinsecamente legata alla tradizione del paese. Buttafuoco ha sottolineato come quel contesto fosse tutt’altro che accessorio, parlando di «Una cornice esatta, dove immaginare il genio di Salvo nel divertimento di avere intorno a sé la festa, l’insieme squillante delle note che sono colori a tutti gli effetti».

Norma Mangione, figlia di Salvo, presente a Leonforte insieme a sua madre Cristina Tuarivoli, moglie dell’artista, ha raccontato a exibart quanto per lei questo sia «Un evento che simbolicamente ha un senso bello e speciale». Il ritorno di Salvo a Leonforte non ha così assunto i toni della nostalgia, ma quelli di una consapevolezza piena. «Salvo è vivo», recita una delle opere realizzate dall’artista. Caratteri che si stagliano lapidari, dalle grazie triangolari e nette. E inscritto in tutto il sottotesto di significati che quest’opera porta con sé, c’è anche una grande verità che questo progetto ha reso possibile.

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